Ogni anno, il mese di novembre ospita due importanti ricorrenze: la Giornata interazione degli uomini (martedì 19/11) e la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (lunedì 25/11). La prossimità di queste due date non è solo temporale: la prima promuove una presa di coscienza globale sulla cosiddetta “crisi del maschile” e sui problemi legati al benessere e alla salute mentale e fisica dell’uomo; la seconda sensibilizza sulla violenza di genere e sull’incorporazione del dominio maschile nella società. Ciò che, in questo quadro di violenza simbolica e fattuale, appare sottodimensionato nel dibattito pubblico e nella copertura mediatica è il dolore che il patriarcato (sì, il patriarcato!) infligge a coloro che – pur godendo di privilegi e potere – ne rimangono intrappolati.
In Italia, il 78,8% dei morti per suicidio sono uomini e l’aspettativa di vita dei maschi è di circa cinque anni inferiore rispetto a quella delle donne. Le donne sono mediamente più consapevoli e informate sulla prevenzione, più propense ad assumere farmaci per il proprio benessere psico-fisico o a intraprendere stili di vita che assicurino una maggiore longevità. Più in generale, a prendersi cura di sé e del proprio corpo. Secondo una ricerca del Sole24, gli uomini faticano più delle donne ad affidarsi al supporto psicologico per problemi di salute mentale: i dati si attestano a un 2,8% per i primi e al 4,3% per le seconde. In media – ma con un ampio margine di errore – gli uomini hanno più paura di chiedere aiuto perché farlo significa assegnare credibilità e dignità al proprio malessere. Si parla infatti anche di tear gap, perché la frequenza con cui gli uomini adulti piangono è estremamente inferiore rispetto a quella delle donne, a differenza dell’età preadolescenziale, dove non si rileva alcun gap perché l’iniziazione alla virilità del bambino – seppur già avviata – non è ancora stata incorporata. Ma una volta entrata nel corpo la virilità ferisce l’identità maschile e la frantuma, compartimentando pensiero ed emotività in vasi non più comunicanti.
Uno dei costi emotivi della fedeltà al patriarcato è quello di scambiare l’intimità per sottomissione e di temerne le conseguenze. In La volontà di cambiare bell hooks lo spiega bene e nel promuovere il pensiero del femminismo visionario racconta anche come la società abbia paura a entrare in contatto con il dolore maschile. Con ironia sbrigativa, disprezzo e vergogna, accade che le attitudini di cura o le manifestazioni di vulnerabilità del maschile vengano derise e negate (attraverso espressioni come il «mammo» o il ragazzo «troppo buono») mentre il seme della mascolinità esaltato (il «playboy» o il bambino chiamato «l’ometto di casa»). Tanto lucida quanto scomoda è la riflessione sulla sessualità maschile che la scrittrice statunitense ospita nel volume; hooks, insieme ai contributi di alcuni studiosi femministi dei Man’s Studies, rifiuta la convinzione che gli uomini non possano fare a meno del sesso, che l’inattività sessuale possa portarli ad impazzire. «Pensare che gli uomini non possano fare a meno del sesso significa accettare la cultura della violenza sessuale maschile» che, come nota bell hooks, si naturalizza anche attraverso il linguaggio: «viviamo in una società in cui la parola fottere viene utilizzata per il sesso e per la violenza». Se anche noi abbiamo pensato che non «concedersi» a un uomo – dove anche con-cedere incorpora il favore di acconsentire passivamente al desiderio di qualcun altro – significasse non appagare un bisogno naturale, significa che forse dei bisogni del maschile ne sappiamo davvero poco. E se ciò che raccontiamo come una spasmodica necessità degli uomini di accedere al sesso fosse un tentativo di «trovare sollievo dal dolore»? E se la pornografia patriarcale capitalista assumesse per questo motivo la forma di dipendenza? Forse è così che il dolore viene anestetizzato, è così che la promessa del patriarcato di soddisfare il desiderio maschile viene infranta. È così che la violenza si ri-produce e si scaglia contro coloro che hanno smascherato il dolore maschile in una società che ancora, forse, non è pronta per accoglierlo.