La comunità somala di Firenze, secondo gli ultimi dati estrapolati dall’Istat, è composta da 389 persone. Persone, appunto, uomini e donne fatti di carne e di pensieri, con diritti e doveri da rispettare, ma anche con bisogni comuni a prescindere dalla propria nazionalità. Eppure sembra che ci si accorga di loro solo in occasione dei fatti di cronaca che li riguardano da vicino.
Il 25 maggio scorso è avvenuto lo sgombero del palazzo ex Unipol di via Baracca, in cui i circa 80 inquilini appartenenti alla comunità somala di Firenze sono stati sfollati e alcuni di loro sono stati costretti a trascorrere la notte in strada (bloccando anche per quasi 24 ore il ponte Enzo Ferrari in segno di protesta). Questo è solo l’ultimo atto della corsa a tappe dei somali fiorentini, una gara a ostacoli iniziata ormai circa 10 anni fa col traguardo rappresentato dall’integrazione. Una bandiera a scacchi che, però, dalle parole dei ragazzi somali che abbiamo intervistato presso l’Albergo popolare “Fioretta Mazzei” – alloggio dove sono state ospitate 11 persone dopo lo sgombero – è difficile da veder sventolare.
I problemi maggiori riguardano l’opportunità di avere una sistemazione stabile e un lavoro, questioni che sono legate tra di sé a doppio filo. Come ci spiega Mahad – 24enne somalo che parla a nome di tutti – “Non riusciamo a trovare un contratto perché non abbiamo un indirizzo da dare”. E poi si entra in un circolo vizioso. Parafrasando le sue parole e il coro dei suoi connazionali, se non hai un lavoro (che non sia precario) non puoi permetterti una casa, ma se non hai una casa non puoi firmare un contratto di lavoro.
La situazione venutasi a creare dopo lo sgombero, nell’ottica occupazionale, è ancora più complessa. “Alcuni di noi lavorano” – prosegue Mahad, impiegato come manutentore di aiuole comunali per una cooperativa – “ma se non sappiamo dove dormire di notte è difficile pensare al lavoro”.
Per risolvere la questione, i ragazzi vorrebbero un intervento da parte del Comune come garante per gli affitti oppure in qualità di ente capace di trovare un alloggio che non sia solo temporaneo.
Dal lato delle istituzioni, l’Assessore al Welfare Sara Funaro commenta così: “L’amministrazione comunale non fa differenze nell’offerta di sostegno e accoglienza dei cittadini. Nelle varie situazioni interveniamo sempre con i servizi sociali, che fanno una valutazione professionale delle singole situazioni e in seguito danno una risposta adeguata ai vari bisogni delle persone e alle loro fragilità”.
Anche in questo frangente i colloqui sono effettivamente avvenuti. Ma i ragazzi somali ci raccontano che ad alcuni di loro è stato detto di cavarsela da soli in quanto giovani, mentre ad altri, residenti in città diverse da Firenze, di andarsene. La questione è delicata e le soluzioni – non una uguale per tutti, ma tutte diverse in base alle singole storie – sono ancora lontane dall’essere trovate. Nella speranza che ci siano.
Foto: Irene Tempestini