Il caldo di Firenze in estate è quasi una condizione dell’anima. Per affrontarlo bisogna essere temprati e pieni di spirito di sacrificio.

Specie se arriva all’improvviso, come in questo giugno, dopo il “maggiembre” – così l’ha ribattezzato qualcuno – appena passato.

“Che cardo! È arrivato il caldo, tutto insieme… Oh, prima o poi ci voleva… Io sopporto meglio il freddo del caldo”. Alcuni tra i luoghi comuni che si sentono ripetere più spesso.

In queste giornate fa già caldo fin dalla mattina. Per chi viene a Firenze in treno le prove spirituali iniziano fin dal viaggio: vagoni, spesso strapieni, con temperature degne della serra di un vivaio a mezzogiorno, si alternano a carrozze in cui il “diaccio” somiglia a quello dei centri commerciali di Hong Kong. Il nostro corpo viene sollecitato anche dagli odori, specie personali, che farebbero invidia a quelli descritti da Süskind ne’Il Profumo. Scesi a S.M.N. (così per gli amici) si viene nuovamente investiti dal caldo che nel frattempo è andato aumentando.

Stando alle rilevazioni della stazione metereologica di Peretola, le temperature più elevate nei mesi estivi dal 1944 ad oggi, si sono raggiunte per il mese di giugno nell’ormai “mitica” Estate del 2003, quando il termometro toccò i 38,6°. Nel 1983 la temperatura a luglio arrivò a ben 42,6°, mentre è più recente nella nostra memoria, l’agosto del 2017 con 41,3°.

Dopo i doveri dello studio o del lavoro, talvolta si sente il bisogno di concedersi qualche piacere. Un gelato, direte voi, una bibita ghiacciata… Macché! Al sottoscritto è venuto perfino in mente di fare una passeggiata (per staccare il cervello) alle 5:30 del pomeriggio. La speranza che a quell’ora il bollore fosse diminuito si è rivelata vana.

Via Alfani, praticamente deserta, è percorsa solo da sparuti turisti che pare non sappiano bene dove andare. In fondo alla lunga e grigia via dei Pilastri, sui gradini della chiesa di sant’Ambrogio, due tipi di dubbia condizione sbraitano.

Il lampredottaio all’angolo ha già chiuso da un pezzo e via de’Macci è popolata da mamme e nonne con bambini per mano. La fronte comincia a inumidirsi, così come la tua schiena, su cui premono la maglietta e lo zaino. Senti i capelli e le mani appiccicose e vorresti a ogni passo avere davanti un lavandino per sciacquarti la faccia.

I fiorentini, quelli veri, che purtroppo non esistono quasi più, avrebbero detto “una zangola”. Santa Croce, dove al sole la facciata variopinta e l’austero Dante risplendono, quasi coperti dalle tribune del calcio storico. Il ponte alle Grazie, su cui tira sempre vento e si può trovare un po’ di sollievo, tra i turisti impegnati a farsi selfie con il ponte Vecchio sullo sfondo.

Lungarno Torrigiani, con altri turisti che fanno foto agli Uffizi da una diversa prospettiva. Si ritrova poi l’ombra in borgo San Iacopo e in via Santo Spirito, dove lo sguardo non può non cadere sulle tante vetrine accattivanti, raffinate, cool come si dice, oppure banali e scontate.

In fondo a destra, all’altezza di palazzo Rinuccini, si svolta per il ponte alla Carraia. Qui di nuovo un po’ di venticello ti da un sollievo momentaneo. Piazza Goldoni, via de’Fossi e piazza Santa Maria Novella scorrono veloci sotto i piedi, infuocati. In realtà ormai non se ne pole più e non si vede l’ora di salire di nuovo su quel treno che si spera di trovare meno affollato che al mattino. Grondanti, assetati, stanchi, si conquista un sedile blu. Non si fa in tempo a respirare che già si è tirato fuori il telefono per controllare non si sa bene quali cose di grande importanza.

Il corpo è provato, la testa forse più leggera, ma almeno l’anima è rinfrancata; perché anche se hai patito caldo, lo hai fatto traversando i ponti e il centro di Firenze.