La prima e l’ultima volta che sono stato allo ZUC (Zona Utopica Creativa) in Via Montebello era il 29 febbraio (data infausta). Ed è stata anche l’ultima volta che, de facto, ho avuto a che fare con la vita sociale. Devo dire che poteva andarmi peggio. Spinto dalla curiosità, ho assistito a un talk, alla presenza di alcuni personaggi più o meno noti al panorama avanguardistico fiorentino e nazionale, sull’Accelerazionismo.
Preferisco non dilungarmi però sui contenuti. L’argomento, per quanto estremamente calzante con il periodo che stiamo vivendo, richiede un approfondimento serio e specifico, che non è il caso di affrontare qui, sia per la mia inadeguatezza che per il taglio del pezzo che segue. Consiglio solo, ai più navigati o appassionati di filosofia, cybertecnologie e sci-fi à la Cronenberg (o De Lillo) di leggersi quanto prima Collasso (tit. or. Meltdown) di Nick Land. Sempre che non lo abbiano già fatto, s’intendo. Tra le righe del breve testo, facilmente reperibile online sia in italiano che in inglese, c’è qualcosa di davvero illuminante, per quanto partorito da una mente del tutto fuori dalla consuetudine.
L’incontro era organizzato da Phase, collettivo alquanto ibrido (o liquido o – meglio ancora – frullato) che muove i passi da Prato e che (cito quanto desunto dal Manifesto sul sito) vuole “indagare sul presente valutando la multisensorialità come miglior strumento per descrivere la globalità circostante”.
Mi chiedevo perciò cosa ci fosse in produzione proprio in un momento come questo, in cui sempre più umano e tecnologia, spazio e virtualità, stanno penetrando nella quotidianità. Spulciando la pagina Facebook ho notato che ci sono occasionalmente dirette, che mixano musica, rumore, arti visive, videogame.
Ho rintracciato il contatto di uno dei responsabili e alla fine ecco qua: a rispondere alle mie domande c’è Jacopo Buono.
Jacopo, ti chiedo di spiegarmi, sinteticamente e più chiaramente possibile, come se lo spiegassi a un bambino: cos’è Phase, da chi è fatto, com’è nato e cosa fa.
Direi che la prendo come una domanda di allenamento, dato che ho un figlio piccolo, e sicuramente tra qualche anno mi chiederà informazioni a riguardo. Premetto che probabilmente un bambino rimarrebbe sicuramente più colpito da quello che facciamo rispetto alla maggior parte delle persone adulte del territorio in cui siamo, quindi potrebbe essere più facile del previsto.
Mi piace molto l’aggettivo con il quale ci hai descritto nell’introduzione, frullato, direi che descrive a pieno quello che siamo e il modo in cui ci muoviamo. In sintesi (ci provo), siamo un collettivo artistico e un progetto curatoriale che si focalizza sulla società contemporanea. Il nostro mix di frutta deriva dall’idea del multimediale: oltre ad esserlo siamo ovviamente anche interessati ai nuovi linguaggi, dall’arte alla musica elettronica, passando per la filosofia contemporanea e la politica.
Ma parliamo dell’inizio. Phase è nato 3 anni fa, ma all’inizio non era un collettivo. Nel 2017 io ed altri ragazzi ci siamo riuniti in un capannone industriale, formando un’associazione culturale, Spazio Materia, attiva ancora oggi. Non c’era nessun collegamento tra le figure presenti se non quello di avere un proprio studio/laboratorio ad un prezzo ridotto. Approfittai di questa situazione per iniziare ad organizzare club night perché sentivo la mancanza di alcuni linguaggi in zona che non arrivavano, la presenza di certe sonorità che scarseggiavano. Il nome nacque quasi per caso (questo cosa mi fa un po ricordare la nascita del dadaismo) durante l’organizzazione della prima serata con gli amici di Disconnect di Firenze, la parola venne fuori, nessuno ci prestò troppa attenzione, era semplice e funzionava, e poi mi ritrovai ad usarla per tutta la stagione.
A fine 2017 sentii la necessità di allargare la cosa, avevo capito che non m’interessava focalizzarmi solo sull’organizzazione di club night, solo sulla musica, m’interessava altro, e compresi che non sarei mai riuscito a farlo da solo: così chiamai a raccolta alcuni amici, persone che conoscevo da molto, altri da meno, ma comunque persone che sentivano la stessa necessità: nell’inverno tra il 2017 e il 2018 nasce il collettivo.
Siamo un collettivo di cinque elementi: io, Federico Fiori e Francesca Lenzi -una coppia di artisti che ha già un proprio progetto a Pistoia riguardante la musica sperimentale, chiamato Nub Project Space – Francesco Lippi e Simone Petrini (Pedro), con l’aggiunta di alcune persone che ci aiutano marginalmente in base alla necessità.
Abbiamo sempre pensato che “una cultura che si limita a preservare se stessa non è una cultura” come diceva T.S. Elliot in Tradizione e talento individuale, abbiamo sempre avuto idee estreme sia sul mondo dell’arte che in quello della musica, idee che erano legate all’eterno presente in cui stiamo vivendo. Non rifiutiamo la storia ma preferiamo concentrarci sul presente, siamo attratti dal capitalismo e cerchiamo quasi di imitarlo: elegante, mutevole, seducente con splendidi oggetti. Ci interessiamo a quest’estetica, riproducendola, riflettendola, rivoltandola, per trovare nuovi limiti e porre nuove domande; di questi tempi non bisogna far evadere le persone, ma infilarle ancora di più nella merda in cui siamo. È l’unico modo per farle riflettere.
Partendo da questi punti abbiamo iniziato la prima stagione: sceglievamo un tema per ogni appuntamento con cui dovevano relazionarsi sia la talk che la night, chiamando ospiti inerenti al tema scelto. Non ci limitavamo però solo a proporre la cosa: abbiamo una visione di arte totale, un’aspirazione di lunga data che risale agli avvenimenti multimediali degli anni ’60, ma che vogliamo riproporre in altra veste, con un’altra mentalità. Così, ispirati dalla velocità, dall’overclocking, dal semioblitz (incitamento dell’ansia per l’infocultura) della nostra società, offriamo dei prodotti come la costruzione di ambienti ibridi che non considerino la musica come unico protagonista: oggi la musica non ha solo bisogno di essere ascoltata o ballata.
Poi ci siamo resi conto che fare nella stessa giornata talk+night richiedeva uno sforzo enorme ed era eccessivo, così dalla seconda stagione abbiamo deciso di staccare la formula, alternandole e aggiungendo altri appuntamenti come workshop o progetti nostri come performance digitali, happening, installazioni, oggetti.
Seconda domanda: i concetti che tentate di mettere in pratica richiedono un livello di conoscenza e persino una certa abilità “tecnica” da parte di chi vi segue? In pratica, pensate di essere un movimento d’avanguardia o di massa? E per “massa” intendo: potete definirvi in qualche modo trendy? Pensi in particolare che la Toscana sia in questo momento un luogo ricettivo per questo tipo di progetti?
Mi fa piacere che mi hai fatto questa domanda perché tocca un argomento su cui rifletto molto e mi capita spesso di parlarne con altre persone. Io penso che l’arte debba avvicinarsi al pubblico sotto l’aspetto della forma, diversificandone i linguaggi, alcuni anche molto simili al quotidiano, il pubblico dovrebbe quindi essere più facilitato a comprenderla e ad avvicinarsi; non credo però che si debba avvicinare sotto il piano concettuale perché rischia (come in diversi casi oggi) di diventare populista. L’arte populista non porta e non serve a niente, non fa riflettere ma si limita ad essere narrativa, come leggere un quotidiano. Tendenzialmente se non conosci gli argomenti che trattiamo dovresti essere attratto proprio dal fatto che tu non li conosca, anche se ritengo che un minimo di preparazione per affrontare certi temi, o anche sentire o guardare un certo tipo di arte/musica, sia necessaria.
Non mi ci ritrovo nella parola avanguardia perché è una parola che ricorda troppo quelle storiche di inizio ‘900, forse con loro abbiamo in comune una mentalità di rottura dall’ordinario linguaggio artistico, una rottura nel nostro caso derivata da una saturazione della storia del ‘900, ma spesso diventiamo saturi anche di linguaggi che fino a qualche anno fa masticavamo: siamo sempre in un continuo cambiamento, siamo fluidi, difficilmente ci soffermiamo troppo sulla stessa cosa. Questo, si, potrebbe far pensare che siamo trendy, che seguiamo “la moda”, ma in realtà penso sia necessario evolversi in base all’esterno. La parola trendy è ambigua, spesso viene considerata come una cosa negativa, nonostante sia quella caratteristica che permette di allargare il discorso, aumentando la partecipazione del pubblico aumenta anche le possibilità per fare determinate operazioni. Se riflettiamo bene, cos’è che oggi non sia trendy? Lo è fare i rave ma anche fare i cantautori, fare arte concettuale ma anche fare i graffiti, è molto difficile sfuggire da questa parola che determina un po’ la riuscita o meno di qualsiasi cosa, una riuscita pensata unicamente come prodotto.
Nonostante quello che facciamo possa apparire trendy, lo rimane solo per una piccola nicchia, infatti la Toscana non è un territorio ricettivo verso i nuovi linguaggi, non lo è ora e non lo è mai stato. C’è sempre stata una grossa crisi di contemporaneo in Toscana, non so bene il motivo, ma forse per la nostra storia. Dall’altro lato penso che sviluppare un progetto del genere qui, nonostante le svariate difficoltà, sia molto stimolante, riesci ad avere a che fare con problemi che si possono trasformare in altre situazioni. Sono comunque problemi che abbiamo in comune con gran parte del territorio italiano, non è solo un problema toscano. Quello che facciamo, infatti, viene proposto solo da altre poche parti, abbiamo vari amici con cui abbiamo anche collaborato, come l’etichetta Haunter Records o il Macao di Milano, i Vibrisse/Paynomindtous di Torino o Amen di Roma.
Terza ed ultima domanda: vorrei che ti sbilanciassi in una previsione sul dopo-COVID. L’essere umano cambierà mentalità e costumi? A che livello e in che direzione?
Ecco la domanda trendy. Non sono molto positivo al riguardo. Abbiamo un programma radiofonico su Fango Radio, si chiama 3A, alterniamo puntate dedicate solo alla musica ad altre puntate di approfondimento su temi vari. Agli inizi del lockdown pensavo “avrò tutto il tempo di leggere articoli o cose che non ho mai letto”, questo desiderio è svanito ben presto nella saturazione della theory: Chiunque oggi scrive qualcosa sull’argomento e il materiale pubblicato si è raddoppiato. Così abbiamo deciso di mandare in onda la puntata con un unico messaggio ripetuto all’infinito: non vorremo mai tornare alla normalità. A cui poi, ne è seguita un’altra con un altro messaggio. Messaggi ben precisi, punti focali in cui crediamo e cerchiamo di non farli disperdere nella Rete.
Purtroppo so che il capitalismo si adatta, si modella, credo che riuscirà comunque a sopravvivere, anzi, probabilmente risulterà ancora più potente ma preferirei cambiare e finire ancora di più nella merda invece che tornare nella situazione alienante dove eravamo prima. Ritengo che le cose debbano fuggire al controllo, per cambiare bisogna rischiare di aprire uno spiraglio che può anche risultare negativo: d’altronde il modello di società in cui viviamo è basato sullo sviluppo costante e continuo, quindi è destinato ad esplodere.
Chiudo con un ringraziamento e dandoti lo spazio per l’autopromozione, se vuoi. Ci sono progetti, azioni, iniziative che vorresti lanciare?
Sì, prima del lockdown eravamo entrati a far parte di Aundici, progetto di aggregazione dedicato alla ricerca musicale sotterranea, ideato da Tempo Reale in collaborazione con realtà che da anni programmano e diffondono musica sperimentale in Toscana: Ambient-Noise Session, Biodiversità Records, Fango Radio, NUB Project Space, Oltrarno Recordings e noi. Una programmazione che doveva coprire tutto il 2020: ovviamente tutto questo per ora si è fermato e in parte si è trasferito in dirette live.
In questo periodo ci siamo concentrati su due progetti ancora in corso: Siamo i figli di Soulseek e Azioni localizzate-tutorial nevrotici spontanei. Il primo è un canale/progetto Telegram che si basa sulla nostra personale concezione dei formati digitali, formati che ad oggi dovrebbero girare completamente liberi, senza nessuna transizione economica ma solo di condivisione. È un progetto che si basa quindi sul free download inteso come azione attiva, e contemporaneamente prova a creare un immaginario collettivo attraverso i contenuti di cui ci nutriamo, contenuti eterogenei in base ai singoli componenti del collettivo: musica, libri o papers, fino alla condivisione di contenuti artistici visivi in bilico tra il limite dove siamo soliti indagare, art or bullshit.
Il secondo è un progetto dedicato a questo lockdown. Sono dei tutorial basati su gesti quotidiani o straordinari, estremizzati attraverso atteggiamenti nevrotici spontanei derivati dalla clausura forzata. Ambedue sono progetti ancora in corso che si stanno sviluppando.
Per il resto, avevamo in programma un festival di 3 giorni a settembre ma non credo che sarà possibile farlo. Di questo preferisco semplicemente accennarlo. Vedremo.