Passeggiare a un metro di distanza, Ma tanto lo facevamo anche prima, dici.
Dici? Dico.
Si, come quella sera al Varlungo, che c’era una sagra ma io non ci volevo andare, avevo cominciato a girarci intorno, dicevo che non volevo mangiare la carne, era quando ne facevo una questione morale di tutto, gli allevamenti intensivi, l’obsolescenza programmata, la quinoa, uh poi sulla quinoa ne potevo argomentare per giorni ma non ne venivo a capo e poi della ragione non ho più saputo che farmene visto che nessuno mi voleva più vedere perché ero diventato pesante.
Insomma quella sera al Varlungo mi pare che ci fossero delle lucine, in tralice, e tu avevi un sacco di capelli, li portavi indietro allora, e camminavamo distanti e io canticchiavo una canzone di Cristina Donà, che ero pesante a quei tempi, e poi ho fatto una piroetta, forse per stupirti, e ti ho intercettato un sorriso, almeno, ma era pesante, e forse non avevamo già più nulla da dirci.
Passeggiare a un metro di distanza, oggi, lo ripetono ovunque mentre usciamo a fare la spesa, che poi ne basterebbe uno, di due, per fare la spesa. Voglio dire, l’ordinanza parla chiaro…
Ma forse lo abbiamo sempre fatto, dico.
Dici? Dice.
Sì, anche prima dell’epidemia, prima di queste luci che capriolano sul rullo della cassa numero 3 mentre un’impiegata in mascherina ci dice avanti e noi non sappiamo più come camminare e inciampiamo l’uno sull’altro, io sto per cadere e tu mi acchiappi per la manica della felpa grigia e io penso a quella storia che è la madre delle Storie, quella che gli esserini piccoli, trasparenti e minuscoli, come i batteri o i virus, sono sopravvissuti ad ogni Era mentre i grandi, quelli più pesanti, ci hanno lasciati per primi.
Sono sempre morti i mammuth, se ci pensi.
Me lo avevi detto una volta, non so nemmeno più perché, durante una conversazione su Tinder.
Volevi farmi divertire.
Ancora ci riesci moltissimo.