The NationalTHE NATIONAL “I Am Easy to Find”

4AD

Ebbi l’opportunità di incrociare la musica dei The National, soprattutto per una questione professionale, sin dal loro esordio. Era un album omonimo, usciva per una piccola etichetta che si chiamava Brassland e c’era questa copertina improbabile con un tizio sul bordo di una piscina. Qualcosa che quindi si discostava totalmente dalla sua atmosfera generale e dalla voce baritonale del cantante. Scopro poi che il tizio si chiama Matt Berninger e che, sei anni dopo, sempre con la sua band, realizzerà “Boxer”, ad oggi miglior disco della loro discografia. Nel frattempo i The National sono diventati enormi, cioè molto popolari, e hanno sempre mantenuto un livello altissimo per le loro produzioni riuscendo, di volta in volta, a migliorarsi pur rimanendo vicini alla loro forma originale, in tutta onestà difficilmente declinabile. “I Am Easy to Find” è il nuovo album, ottavo della loro carriera ed è legato al cortometraggio con il solito titolo, curato da Mike Mills e interpretato dalla vincitrice di un Oscar, Alicia Vikander. Ma non temete, non è una scusa per riciclare b-side o vecchie registrazioni ad uso del corto. No, ci sono brani nuovi di zecca. Ci sono brani bellissimi e, per la prima volta, Berninger non è più solo ma, di tanto in tanto, è aiutato da un’azione corale tutta al femminile con una formazione composta da Sharon Van Etten, Lisa Hannigan, Kate Stables, Eve Owen, Gail Ann Dorsey, oltre che dal Brooklyn Youth Chorus. Se il termine indie-rock ha ancora un senso, è anche merito dei The National. Menzione particolare per ‘Light Years’, strappa lacrime finale.

 

Cate Le Bon “Reward”  Mexican SummerCate Le Bon “Reward”

Mexican Summer

Nato sulle montagne in Cumbria, contea della zona nordoccidentale dell’Inghilterra, “Reward” è il nuovo album della sofisticata cantautrice gallese Cate Le Bon – niente a che fare col Le Bon dei Duran Duran. Il disco – il cui titolo “Reward/Ricompensa”, a detta dell’artista non ha quel valore positivo che oggi crediamo abbia – è il risultato di mesi trascorsi in solitudine, tra le montagne citate, il Lake District, tentativi – riusciti – di costruirsi sgabelli e tavoli in legno massello e notti in compagnia di un piano Meers di seconda mano. Con queste premesse, la bastonate nelle gengive parrebbe dietro l’angolo. Invece Cate, alla sua quinta uscita, arriva al suo lavoro più pop. Pop nel senso che ci sono delle canzoni, belle, con un loro sviluppo più o meno tradizionale. Coadiuvata dai suoi collaboratori storici, con Josiah Steinbrick alla produzione, Stephen Black (Sweet Baboo) al basso, Huw Evans e Josh Klinghoffer alle chitarre oltre che Stella Mozgawa (delle Warpaint) alla batteria, Le Bon sorprende per la varietà di suoni, per la ricchezza degli arrangiamenti e per l’utilizzo particolare di fiati (soprattutto sax), micro-suoni e tintinnii. Come una novella Laurie Anderson o una reincarnazione al femminile di David Byrne, la Nostra mette insieme 10 brani di elegante cantautorato fra avant-pop, psychedelia, nu-wave e folk britannico.  

 

Calexico/Iron & Wine “Years to Burn”  City SlangCalexico/Iron & Wine “Years to Burn”

City Slang

Calexico e Iron & Wine si incontrarono artisticamente nel 2005 ai tempi di “In the Reins EP”. I primi erano nel periodo post “Feast of Wire”, il secondo dopo “Our Endless Numbered Days”, ristampato recentemente in occasione del suo quindicesimo anniversario. Erano quindi tutti freschi di uscite fantastiche e, quella, fu l’occasione gli uni di raggiungere il pubblico dell’altro e viceversa. Nel corso degli anni, seppur a distanza, questa impollinazione è proseguita e finalmente culmina con “Years to Burn”, la nuova uscita scritta a sei mani da Calexico e Iron & Wine – che poi quattro son dei Calexico, che son due, e due di Iron & Wine, che è uno, cioè Sam Beam. Se i brani di “In the Reins” erano stati interamente composti da Beam, qui in “Years to Burn” la faccenda si fa più collaborativa con dieci nuovi brani dove è forte anche il contributo di Convertino e la voglia di improvvisare di Burns. È facile intuire dove si vada a parare, siamo in territori desertici disegnati da un folk-jazzato da sempre nel DNA di tutti e tre i musicisti. Solo che in pochi hanno la loro classe ed è questo il motivo per cui un disco, tutto sommato prevedibile, risulta preziosissimo e necessario. Momento migliore dell’album: ‘The Bitter Suite (Dead Bird / Evil Eye / Tennesse Train)’, mini suite in cui convivono alla perfezione le tre anime qui coinvolte, con una manciata di secondi nostalgici di CSN&Y periodo “Déjà vu”.