Abbiamo tutti visto film e letto storie dove le differenze tra Nord e Sud Italia vengono esaltate, portate allo stremo e ricondotte ad una morale che ci insegna a capire qualcosa in più su noi stessi, sugli altri, sulla bellezza della diversità.

A Firenze, nella casa dove viviamo io (Nord) e le mie tre coinquiline (Sud) non è così.

Noi non siamo interessate né alla morale, né alle conclusioni proficue.

I nostri sono scontri dove non si fanno prigionieri, non si conquista e nemmeno si perde territorio, le nostre sono storie a fondo cieco e tutte le discussioni finiscono puntualmente con un ritornello che dice: “Niente ha senso, che vita di merda”.

È buio, fa freddo. Nessuno ha più il coraggio di muoversi e l’unica luce accesa brilla di un giallo ammalato, che si appoggia sulle linee de nostri corpi rattrappiti. Insomma, siamo in cucina.

“Raga dopo volevo fare la maschera con il miele ma guardate,”dice Alessia scuotendo il barattolo di plastica, “è congelato!”.

“Dovresti provare a scioglierlo con il phon”.

“Si, eccola!” esordisce Sara dopo cinque minuti passati a fissare un fantasma nella stanza.

“Come con il tuo computer, eh? Bella idea!”.

“Senti il mio computer è un’altra storia, non riparliamone per favore, ancora non sono pronta a fare i conti con i miei errori”.

“A proposito di errori, ma il messaggio di oggi?” chiede Sara ad Alessia guardandola di sottecchi.

“Uhhh… Che messaggio?” Martina fraintende il suo sguardo e sgrana volontariamente gli occhi, come un paparazzo che ha appena fiutato l’odore di una nuova notizia.

“Allora, partiamo dal presupposto che non è quello che pensi. Ma se io ti scrivessi: Dimmi un tema che incute timore e allo stesso tempo sicurezza. Cosa risponderesti?”.

“Si vabbè ma tanto Selene risponde la morte.” dice Alessia sbuffando.

“Vero, è la morte.”

Sara mi guarda e inizia a ridere. “Oddio, vuoi sapere che ha risposto Alessia?” 

Alessia sbuffa di nuovo, sbatte il miele sul tavolo.

Poi alza gli occhi al cielo e si ferma con la testa così, per un attimo.

“Ho risposto l’amore! Va bene?! L’amore! Ma sta stronza ha sbagliato a scrivere. Tema doveva essere font”.

“Tutto amore sprecato” conclude Martina con una smorfia nauseata, un po’ perché sapeva di aver detto una cosa vera e un po’ perché le era rimasto in bocca l’amaro di uno scoop mancato.

Oppure erano solo i broccoli, chissà.

“Brava, invece la morte non si spreca.”

“Mica è vero, da noi ai funerali si spreca un sacco di cibo” mi corregge Alessia, in cerca di una rivincita. La ottiene, e io continuo a guardarla senza capire, manco fossi innamorata.

“Quando da noi uno muore deve stare a casa fino al giorno del funerale. La bara si tiene nella sua camera e la casa rimane aperta agli ospiti per giorni. La cosa bella è che tutti ti portano da mangiare. Anzi, si cucina a turno e poi si mangia insieme”.

“Immagino anche i vicini”.

“Ovviamente” sottolinea Sara con un dito puntato in alto.

“Ma tutta quella gente in casa… Non dà fastidio? Dico io, dopo un funerale vorrai pur farti gli affari tuoi…”.

“No…” riprende Alessia, “forse è un controsenso ma l’idea di fondo è che non bisogna mai lasciare da solo qualcuno che vuol star solo, se ha davvero un motivo valido per volerci rimanere”.

“Tipo la morte?”

“Tipo la morte”

“Quindi si banchetta per tre giorni nella stessa casa dove è il morto. Cioè lui sta là, mettiamo anche per un po’ di giorni, e tu mangi con tutti, mentre lui è morto, a digiuno”.

“Chi more un vide nente e cu arresta s’addiverte!” (Traduzione in italiano: “Chi muore non vede niente e chi rimane si diverte”) sentenzia ancora Martina, ormai persa dentro il cinismo sordo che le delusioni sono solite provocare.

“Ah, ecco. Quindi non solo quando sei ancora vivo, pure al tuo funerale tutti ti prendono indirettamente per il culo”.

“Vabbè Selé,” dice Sara indicandomi con il palmo aperto, come un conduttore che sta per presentare al pubblico la riposta giusta, “torniamo sempre lì!”.

“Hai ragione. Niente ha senso, che vita di merda”.