Inaugura oggi la mostra Libertà Clandestine dell’artista italo-argentina Mariana Ferratto presso il MAD, Murate Art District di Firenze.

Si associano tanti significati all’arte. Il più importante è l’associazione al concetto di libertà. Mariana Ferratto sa bene qual è il prezzo da pagare in questo contesto. Nata da genitori argentini esuli in Italia, la sua produzione parte da un «nocciolo opaco», nucleo del suo intero operato: le proteste tra il 1974 e il 1976 e la dittatura in Argentina. Sono eventi hanno segnato il destino dei suoi genitori, detenuti politici e poi esiliati, quindi la sua stessa vita. Questa personale è il modo di affrontare una parte della sua storia. È un’operazione che va oltre l’arte per entrare nella Storia. L’artista vuole ricongiungere, dare nuova forma a queste esperienze per lavorare sul tema dell’identità, chiave di tutta la sua produzione. Ricucire e riconciliarsi con un passato difficile. Non a caso la mostra si trova in uno spazio simbolico, l’ex carcere delle Murate, spiega Valentina Gensini curatrice della mostra, che custodisce la nostra storia di Resistenza e Liberazione.

Il progetto è stato possibile grazie alla residenza vinta dall’artista presso il MAD e ha previsto, nella prima parte del 2023, una collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. La mostra si sviluppa su due piani dell’edificio, fino alle zone di carcere duro, attraverso un sentiero di fiori di ceramica che sbocciano agli angoli delle stanze. Sono le malerbe che abitano i punti più inospitali di strutture abbandonate, simbolo di resistenza in crescita contro l’inattività della detenzione. L’artista non propone un percorso voyeuristico alla ricerca delle radici della sofferenza, ma il racconto di azioni e pratiche artigianali per sentirsi attivi creando cultura in luoghi inospitali.

Avanzare lentamente: creare nuovi linguaggi attraverso lo scarto

In mostra prendiamo parte a uno scavo archeologico: le opere create da chi è stato recluso nelle carceri erano un segreto, contro la sorveglianza delle guardie. I medaglioni, i gilet e le poesie danno un significato al tempo che scorre, uno scopo: portare a termine gli oggetti, poi appositamente nascosti in fessure dei materassi, indumenti, buchi nel muro. Per questo si parla di azione archeologica: scaviamo nel passato, come scavavano i detenuti nelle poche cose che potevano tenere in cella per comunicare tra di loro e con l’esterno. È un sistema basato sui segni, l’Abbecedario del linguaggio carcerario, con cui si scambiano informazioni e si compongono poesie. Nel video della sala Anna Banti, dalla serie Tutorials, lo spettatore impara a decifrare una poesia; si cimenta nella sfilacciatura di asciugamani per ricavare il filato per indumenti o amuleti, come la tartaruga disegnata in una delle tavole dell’Archivio dell’Artigianato clandestino: Ferratto riporta alcuni oggetti prodotti in cella per rendere conto delle tecniche, dei nomi e delle misure effettive, come la lavorazione delle superfici di osso buco e costolette rubate dallo stufato servito a mensa.

Archivio dell’artigianato clandestino, foto: Daniele Potenza

La dimensione acustica del teatro come elemento di sopravvivenza intellettiva

All’ultimo piano della mostra, troviamo la sezione di Affiorare: ottanta fiori dislocati in angoli nascosti realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti. Tre grandi fiori, di mano di Mariana Ferratto, sono stati posizionati nelle celle: raccontano le storie delle prigioniere politiche, accompagnati da audio in cui ascoltiamo le loro conversazioni. Questa è la parte acustica della mostra. Non solo le voci delle detenute, ma, nelle celle che hanno ospitato chi ha partecipato alla Resistenza, è come se fossimo parte di un’opera più grande: viviamo la collaborazione, l’amicizia e la resilienza vissute da queste detenute, costrette a comunicare tramite le viti delle cuccette, le tubature delle fogne, oppure nei bagni, dove si organizzavano spettacoli teatrali. La condivisione ha portato queste persone a ottenere abilità e competenze in un ambiente potentemente ostile; a ritrovare un senso collettivo in un luogo di alienazione della coscienza e depersonalizzazione. Perché i detenuti politici erano isolati? Perché in questo modo, togliendogli la possibilità di raggrupparsi, gli si toglieva il diritto a vivere come esseri umani e di continuare a fare la differenza. In realtà, l’arginamento delle tradizionali attività di ribellione ha fortificato la capacità di resistere e di combattere, di ricominciare da zero, a ogni singolo spostamento e rottura, consapevoli che il pensiero e le idee sono più forti di qualsiasi confinamento.

Per ulteriori informazioni:

Mariana Ferratto
Libertà clandestine

A cura di Valentina Gensini
19 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024

MAD – Murate Art District, Firenze
Ingresso libero, 14.30-19.30
chiuso la domenica e il lunedì
055 2476873
[email protected]
https://www.murateartdistrict.it/liberta-clandestine/