Ti ho salutato (ma non eri tu)”. Appena ho ricevuto la mail che riportava questa frase in oggetto mi sono detta: “Vabbè è uno scherzo, cosa vogliono questi?!”. In realtà, scorrendo il testo ecco la sorpresa: è il titolo del nuovo singolo del gruppo fiorentino Le Lame. Simpatici e frizzanti durante il nostro incontro, belve da palcoscenico che se lo mangiano durante i loro live. Si definiscono Dottor Jekyll e Mr Hyde, lavoratori di giorno e musicisti certosini la sera in sala prove e nei club in giro per tutta Italia la notte. Cinque background musicali diversi, che li aiuta a contaminarsi l’un l’altro e a integrare parti mancanti piuttosto che togliere. Ecco a voi un viaggio nel mondo de Le Lame.

Benvenuti ragazzi e grazie per questo incontro dal vivo. Il vostro percorso è un film romantico. Avete iniziato agli albori a fare cover britpop, vi siete persi per poi ritrovarvi nel corso del tempo.

Tutto è partito perché dovevamo suonare ad un evento liceale, nel 2011. Eravamo una band di persone appena conosciute con alle spalle poche prove in sala. Ci chiamavamo “Born and Dead”. Inaspettatamente ci è piaciuto a tal punto che abbiamo continuato. Ci siamo poi persi. Ognuno ha scelto percorsi di vita diversi: chi è andato a Milano a studiare, chi a Londra, chi in Australia, uno smembramento totale. Quando siamo rientrati e ci siamo rivisti sapevamo già di avere un sogno: fare pezzi nostri in italiano. Fino a che non abbiamo fatto uscire il nostro ep primordiale “Manca fantasia” nel 2016. E da lì è iniziato tutto, non solo musicalmente. La band è diventata un gruppo di amici dal legame molto forte.

Siete molti e va da sé che ogni componente del gruppo abbia una propria formazione musicale; quanto serve nel vostro lavoro allontanarsi dalla zona di comfort? Scendete a compromessi? Si mette da parte un po’ di voi o si fa confluire tutto?

Oscar (batterista): Io sono arrivato per ultimo e suonavo in una band metal/post hardcore, quindi tutta un’altra dimensione. Mi sono lanciato in questo progetto di cover brit completamente diverso dal mio repertorio, sia da suonare che nell’ascolto, quindi è stata una sfida e un’opportunità per ampliare le mie conoscenze. Ho cercato di vestire al meglio questi suoni per arrivare poi a comporre e imparare a fare anche altro.

Corso (voce della band): il bello delle Lame è che ci sono vari gusti e in fase di composizione viene fuori in maniera piacevole ma anche goliardica. Siamo cinque e si crea una sorta di giuria per approvare determinate scelte piuttosto che altre. Il risultato finale fa parte della contaminazione. I nostri brani nascono in sala prove in modo corale, e dopo il lavoro di limatura sono pronti per essere suonati live. Partiamo da un punto e poi il pezzo si evolve in tanti modi, come un embrione. Un disegno a matita a più colori, mischiati tra di loro.

Dai primi lavori all’ultimo c’è stato un cambiamento: dall’influenza New Wave ad un rock anni ‘90/2000.

Sì abbiamo totalmente abbandonato lo stile New Wave e siamo passati ad uno stile che ci appartiene di più, quello degli anni ‘90/inizio duemila, che rappresentano il periodo dei nostri ascolti; sono anni importanti. In questo nuovo lavoro la voce è più satura, sforzata a tratti, graffiante come la chitarra, più incisiva. I pezzi sono meno dilatati, i passaggi diversi anche nella batteria. Le dinamiche sono meno banali e standardizzate, le parti sono più piene.

Che cosa vogliono raccontare le Lame?

Questo album è spontaneo, non c’è nessuna barriera: ci abbiamo messo quello che volevamo metterci. Senza voler essere qualcos’altro. Una forte sensazione tipica dell’età dei trenta: strade più definite rispetto a quella dei venti; parliamo di lavoro, di stress, di cambiamento. Non riconoscere una persona e nemmeno se stessi dopo tanto tempo. Ma in maniera divertente, senza prenderla in maniera tragica.

Com’è conciliare la musica con il lavoro quotidiano?

Dipende dal tipo di lavoro sicuramente. I nostri ci permettono di lavorare ma anche di ritagliarci del tempo da dedicare alla band. Suonare è una valvola di sfogo dalla routine e nel fine settimana andare in sala prove – o ancora meglio, fare i live – è una boccata d’aria fresca. (Corso) Io non nego che nei miei pensieri è passata l’idea di mollare il lavoro. Poi il covid per assurdo mi ha portato sulla retta via e, anzi, consiglio di lavorare e fare musica. È un toccasana perché ti aiuta a creare meglio e a concentrarti di più quando vai in sala non avendo tutta la giornata a disposizione. In più il lavoro è una fonte di ispirazione: è un palcoscenico. Le Lame sono Dottor Jekyll e Mr Hyde, e non sai mai chi è Jekyll e chi Hyde alla fine.

Avete finito la stagione invernale dei live col botto a Milano, cantando insieme a Divi (Ministri). A tale proposito, com’è nata la vostra collaborazione?

È stato interessante perché è nata da una conoscenza casuale. Nel 2020 a Firenze, durante uno dei pochi concerti che siamo riusciti a fare a causa del covid maledetto, una persona che era nel pubblico ad ascoltarci e che conosceva Divi, gli ha parlato di noi. Evidentemente gli siamo piaciuti e si è interessato al progetto. Ci siamo trovati non solo musicalmente ma anche umanamente. E lui dà molta importanza a questo aspetto. Quando siamo andati a Milano abbiamo fatto cene, pranzi insieme e poi siamo partiti con il lavoro. Milano ci ha dato verve, stimoli, ci ha fatto rinascere musicalmente con un’energia diversa. Sul lato artistico è indubbiamente una città che dà tanto.

Avete un aneddoto vostro che volete raccontare di cose capitate durante i tour o le prove?

Oddio. Possiamo raccontare quella di Milano? Cerchiamo di farlo essere censurati. Eravamo all’inizio del progetto e non sapevamo dove andare a dormire. Si sa, non è che ci siano tutti questi soldi nel mondo della musica. Per nostra fortuna abbiamo un caro amico che sta là. Ci lasciò le chiavi di casa. La prima sera ritornammo nella palazzina tardi verso le tre di notte e reduci dalla serata il tastierista che aveva le chiavi cercava di aprire la porta, ma era quella sbagliata. E così fece con tutte le altre porte, mentre noi andavamo su e giù con l’ascensore. Solo dopo mezz’ora riuscimmo a trovare quella giusta. La mattina successiva la vicina inviò un messaggio al nostro amico per rassicurarsi che non fossero stati dei ladri a provare a scassinare la porta. Gli abbiamo fatto fare una figuraccia, ma alla fine ci ha perdonati. Ci ha ospitati di nuovo volentieri.

Il peggior posto dove avete suonato?

Tantissimo tempo fa in una data fiorentina in un locale abbiamo un ricordo divertentissimo. Un posto di dubbio gusto e pieno di polvere. Io (Corso) sono allergico e avevo la voce di un fumatore incallito, Johnny Cash con Le Lame.

Io (Oscar) avevo un multipad elettronico, che dovevo suonare in tutti i modi insieme alla batteria ma non mi entrava tutto perché ero confinato in un angolino. Ho chiesto se potevo spostarmi in avanti, ma non c’era posto e la soluzione è stata: “Niente, allora via il pad, stasera non lo usi”.

Bello, ma non lo rifarei. Per fortuna in molti altri posti ci siamo trovati benissimo. Ormai siamo rodati a tutto, non ci facciamo più problemi e dopo esperienze del genere puoi suonare ovunque.

Sotto il punto di vista del panorama musicale c’è un sottobosco in ogni scena. Come è messo quello fiorentino?

L’obiettivo è quello di portare alta la bandiera fiorentina, con il sommo rispetto per chi ci ha preceduto ma è arrivato il momento di sentire gruppi nuovi in generale. La novità porta freschezza e linfa vitale in una città. Noi vorremo lasciare un segno nel cuore delle persone. Esce una quantità di pezzi ogni giorno in digitale. Dobbiamo puntare sui live, vedere le persone di fronte a noi: renderle felici e diventare felici anche noi.

Volevo sapere se avete qualcosa di libero da dire: una domanda, un racconto.

Sì. Una curiosità sul pezzo “Ti ho salutato, ma non eri tu”. All’inizio si chiamava con un titolo che poi non è stato usato: “Tisana relax”; dopo è diventato “Xanax”. Da qui si ritorna al discorso della giuria e ovviamente non è passato. Questo è quello che succede: una cosa che può venire fuori da una banalità poi diventa intrisa di cose private e sofferte. Divi a volte ci parla con i vecchi titoli perché gli sono rimasti impressi quelli.

 

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