Qual è il classico pretesto per parlare di Livorno? Ovviamente, una burla. Terra di analogie mai scontate in cui si trovano punti di incontro tra Modigliani e il Vernacoliere, Bud Spencer e la Famiglia Ciano (proprio quella), tra i Virginiana Miller e Zio Paperone.
La storia inizia così: è il 2015 e Daniele Caluri, una delle firme più autorevoli del (famigerato) Vernacoliere, creatore del personaggio Don Zauker, lancia una proposta di rigenerazione urbana in chiave tipicamente livornese: ridipingere il Mausoleo di Ciano, vestigia di un passato non proprio comodo adagiato sul colle di Montenero, in modo da farlo diventare il deposito di Zio Paperone.
La petizione venne aperta allora su Change.org ma non si concretizzò, anche se “l’idea rimbalzò sui media italiani, dai quotidiani (Repubblica, Corriere) ai periodici (Wired) alle radio nazionali (Radio Due e Radio Popolare). Molti street artist mi scrissero da tutta Italia per dirmi che sarebbero venuti anche gratis, pur di aiutarmi a realizzare il progetto”, racconta Caluri. Finita lì: un post su Facebook, un rendering ben riuscito e un po’ di eco.
Come volevasi dimostrare, se non fosse che proprio quest’anno spunta di nuovo un fuori programma del tutto eccezionale: la sistemazione della statua in vetroresina di Bud Spencer sul Lungomare per mano della giunta Nogarin e la successiva rimozione per mano della giunta Salvetti, foriero di non pochi commenti, sia a favore che contro.
Dato però che quel post del 2015 terminava con un “P.S.: sono serio”, forse servono eventuali distinguo da fare tra il suo intervento, mai realizzatosi, e quest’ultimo, fatto e disfatto d’amblè.
“Non c’era la volontà di trasformare quel cubo di cemento armato in una specie di parco a tema; si trattava piuttosto di un’operazione ironica, Post-PopArt che avrebbe superato i concetti di ecomostro, degrado, ottusa conservazione. Senza biglietto d’ingresso, senza fini di lucro: solo un oggetto colorato, visibile da una buona parte della costa cittadina, scintillante come le creature di Niki de Saint-Phalle, ma tratto dai fumetti. Da svariati decenni è crollata la barriera fra cultura alta e popolare. E così anche la statua di Bud Spencer: io criticai solo il fatto che fosse realizzata veramente male, non l’idea in sé”. Divertimento, autoironia quindi.
Ma la nuova giunta comunale, e in particolare l’attuale assessore alla cultura Simone Lenzi, noto forse più come voce dei Virginiana Miller, oltreché scrittore e collaboratore di Paolo Virzì, cosa ne pensa di questa iniziativa?
“Livorno è una città romantica”, esordisce il neo assessore alla cultura e prosegue: “come Genova è un città che trae la sua forza dall’individualismo: Livorno è solo geograficamente toscana”.
Se è vero che nello stesso luogo sono nati Modigliani, Fattori, Mascagni, Piero (e Carlo Azeglio) Ciampi, Caproni, fino a Virzì e Nada, gli chiedo perché ciò che rende famosa Livorno, almeno nel resto della Toscana, è, più che la sua tradizione artistica, il suo spirito autoironico e canzonatore.
“Questa è una grande virtù, ma anche un grandissimo difetto, che impedisce alla città di riuscire a prendersi sul serio quel tanto che basta per capire il proprio valore”. Un vizio pericoloso, ragione per la quale, ad esempio, Livorno e Modigliani non avevano ancora fatto pace dal 1984, l’anno della truffa delle false teste di Modì ritrovate nel canale. “La farsa che si è trasformata in tragedia” secondo Lenzi. Una burla che costò la faccia (e il posto) di critici e professori, amministratori e dirigenti, “della città stessa”.
Lenzi rivendica: “La mostra su Modigliani ha assorbito tutte le mie energie, questo atto di cura doveva essere fatto da almeno da 100 anni.” Inaugurata il 7 novembre scorso, la mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse resterà aperta presso lo spazio rivitalizzato del Museo di Città, Piazza del Luogo Pio, fino al 16 febbraio 2020, “un parcheggio si è trasformato in una delle più belle piazze di Livorno, direi di respiro europeo”.
E riguardo alla faccenda della statua di Bud Spencer sul Lungomare? “Da amministratore posso solo autorizzare interventi attraverso un atto formale. Quella cosa lì non ci doveva stare, non aveva ricevuto nessun atto di donazione ratificato dalla Giunta. Altrimenti, fosse solo una questione di gusti, avrei fatto sistemare la statua di Roger Federer in via Cavour” (sorrido, canticchio uno dei miei pezzi preferiti, “La verità sul tennis”). “Compito dell’assessore non è dare giudizi, ma mi sembrava molto decontestualizzata. Allora perché non Lino Banfi in Fortezza o la Fenech alla Rotonda? Almeno piazzata alle piscine comunali, in virtù del suo grande passato natatorio o davanti un cinema avrebbe avuto più senso”.
Torniamo alla faccenda del deposito di Paperone:“certo che la conoscevo, come conosco e stimo il lavoro di Caluri – risponde Lenzi – quando lessi quel post mi feci una sincera risata. Ma devo confessare che il suo non fu l’unico tentativo di ridare vita a quella costruzione che – ricordo – è di proprietà privata e quindi il Comune non è autorizzato a intervenire. Tra le altre proposte ve ne fu una a mio giudizio altrettanto brillante: dipingerlo di ciano, cioè di color ciano. Tuttavia credo che queste iniziative perdano interesse con la stessa velocità con cui lo acquisiscono. Certo, se ci fosse una sorta di movimento partecipativo, dal basso, allora il Comune potrebbe dire la sua”.