Sebbene il trasporto pubblico sia fondamentale per qualsiasi società contemporanea, il tempo che impieghiamo per spostarci da un luogo a un altro non è uguale per tutti: una donna eviterà il percorso più breve, se passa in mezzo ad un parco poco illuminato, di notte. La mobilità, ossia tutti i nostri spostamenti quotidiani e usuali fra casa, lavoro, luoghi di cura e shopping, sono influenzati dal genere: uomini e donne si muovono e utilizzano i mezzi di trasporto in modo diverso. In media, i mezzi pubblici sono più usati e ritenuti più importanti dalle donne che, di contro, possiedono meno auto rispetto agli uomini. Di conseguenza, un sistema di trasporti locali efficiente fornisce alle donne maggiori possibilità di partecipare ai percorsi educativi e al mondo del lavoro (e come al solito l’intersezionalità è dietro l’angolo: lo stesso è vero per le classi meno abbienti).

Ci spostiamo per motivi diversi: gli uomini principalmente per lavoro, le donne spesso per attività di cura (gli uomini usano la macchina per accompagnare qualcuno solo nell’1,4% dei casi, le donne nel 20% dei casi) che richiedono tragitti più complessi. Eppure, i dati sull’utilizzo del trasporto pubblico locale sono spesso ciechi alle differenze di genere, postulando un utente medio che finisce per assomigliare molto al maschio, bianco, abile e impiegato a tempo pieno.

Ogni programmazione (il numero delle corse, i loro orari, l’illuminazione stradale e la larghezza dei marciapiedi) che derivi da questi dati è, per forza di cose, sbagliata. Inoltre, i mezzi pubblici sono purtroppo spesso luogo di molestie sessuali e violenza di genere (e questo pesa nella scelta delle donne di utilizzarli o meno). La situazione diviene ancora più complessa per le persone LGBTQIA+.

Insomma, il trasporto pubblico può essere motore di emancipazione, ma chi ne beneficerebbe di più è quasi invisibile per chi lo progetta. Una mobilità migliore passa dalla mobilitazione: muoviamoci!

 

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