Contrariamente a quanto noto ai più, il trolley non fu inventato nel 1987 da un pilota della Nortwestern Airlines di nome Robert Plath che da allora gioca a golf con mazze di diamante, ma da Giorgino, un bambino di Campobasso affetto da leggera scoliosi, come soluzione brillante per trasportare nel panierino della merenda il profiterol al pistacchio di cui andava ghiotto.
Il trolley deriva il nome da un’onomatopea: trolltrolltrolltroll, sentite quelle maledette ruotine che si trascinano sull’acciottolato? Poi ci hanno infilato una yin coda per dare al tutto un’aria più simpatica, come i pony, il whiskey o il Ciappy. Il trolley non ha alcuna affinità con la mitologia scandinava o con il flamingsul web, nonostante la sospetta assonanza.
Era il 1940 quando il dottor Theodore E. Woodward, medico e ricercatore all’Università di Baltimora residente in un quartierino storico ad alta densità Airbnb, coniò il celebre aforisma: “se senti rumore di zoccoli pensa trolley, non zebra”.
Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert non hanno dedicato al trolley una voce nell’Encyclopédie. Questo rafforza il giudizio della Storia, che li vuole individui a dir poco approssimativi.
In uno dei suoi più alti componimenti, il Vate recitava: “Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo le ruote dei trolley che stiacciano gocciole e foglie lontane”.
Alcuni detti di natura stagionale: “fiocco casuale non fa sport invernale”, “estate, sei calda come i baci che ho perduto”, “un trolley fa primavera”.
Nell’anno del signore 2070, in quattro continenti su sei (indovinate quali rimangono fuori) sarà istituita una speciale norma secondo cui i proprietari di trolley non opportunamente ammortizzati tramite sospensioni pneumatiche verranno estradati nei paesi di residenza con effetto immediato.
Non tutti lo sanno, ma Tupac Shakur è stato ucciso da un trolley.