Immaginate quante volte un ritardatario come voi sarebbe rimasto fuori dal castello in età medievale.

Vi vedo bere Chianti nei pomeriggi soleggiati di primavera, con le calze alte fino a metà coscia stesi sull’erba, le gonnelle e le guarnacche tutte avviluppate al resto del corpo, e poi quel sorriso sornione, l’espressione mansueta di chi crede nella sua anima immortale, a prescindere dallo scorrere del tempo, dal muoversi dei pianeti. Per i ritardatari lo spazio-tempo è un unico blocco informe e tutto esiste nella sua interezza, le ore sono convenzioni e i giorni supposizioni: la realtà è fatta di pezzi di presente che si susseguono l’un l’altro e il passato e il futuro sono parole vuote che affliggono chi non esce mai dal castello a bere Chianti sulle colline.

Questo cosa vuol dire? La risposta non è importante, “fare chiarezza sul mondo” è un’altra delle mansioni preferite di quelli chiusi dentro le quattro mura. Voi preferite affidarvi all’intuizione e, adesso che il rintocco della campana avvisa l’approssimarsi della chiusura delle porte cittadine, dovete alzarvi e ricordare che purtroppo il vostro non è un pensiero condiviso dalla maggioranza. La campana suona, din don dan, e i denti macchiati di vino oscillano con la testa a destra e a sinistra ad ogni rintocco.

Arrivare al castello prima del calar del sole non è possibile e infatti eccovi lì, davanti alla porta chiusa a notte inoltrata. È la prima cosa che dite, “Sono in ritardo”, dopo aver tirato una cinquantina di sassi per svegliare la guardia.  “Ancora tu?”, è quello che vi risponde da un po’ di tempo, con acida punta di biasimo.

Ma le guardie non escono mai e non sanno quanto è bello vedere il tramonto sulle colline fiorentine, perdere tempo, anche se si è in ritardo, anche se sta per fare buio e ci si troverà costretti a tirare sassicontro la porta del castello.