Ci sono giornate in cui si ha voglia di stare soli.
Che sia per ritrovarsi, riprendere contatto con se stessi o semplicemente perché non c’è nessuno con cui condividere qualcosa, la solitudine può essere a volte una condizione necessaria. Ricordo una domenica di non molto tempo fa, una giornata azzurra, piena di sole caldo. Decisi di tornare da solo a Boboli, uno dei miei “luoghi dell’anima”. Quel giorno m’immersi nel suo verde e lo visitai quasi per intero.
Entrai dal cancello di Porta Romana, dove un inserviente distribuiva tagliandini d’ingresso a fiorentini e turisti. Attraverso il prato semisferico con le colonne di granito rosso egiziano e penso che assomiglia ad alcuni parchi inglesi. Già qui alcuni visitatori se ne stanno distesi sull’erba o su teli portati da casa per rilassarsi nel bel tempo. Coppie di fidanzati, gruppi di amici con birre, musica e maria, turisti a piedi nudi dalla pelle bianca o paonazza.
Il passo supera alte siepi di edera ed ecco la Vasca dell’Isola, scenografia barocca che rapisce lo sguardo, con al centro la fontana dell’Oceano. Cerco di evitare i percorsi più affollati e comincio a salire, perdendomi, per ombrosi viali serpeggianti, un tempo usati dalle carrozze. Abitatori di questi luoghi sono una miriade di statue antiche e moderne. Se ne stanno bianche e verdastre, consunte dal tempo, come numi all’incrocio dei sentieri.
Boboli, 45.000 mq di superficie e oltre un milione di visitatori l’anno è uno dei massimi esempi di giardino all’italiana. Costruito a più riprese tra il ‘500 e l’800, ogni dinastia che regnò in Toscana – Medici, Lorena e Savoia – vi lasciò un ricordo di sé. Dall’ombra e dal fresco dei tetti di foglie risbuco sul Prato del Pegaso, il simbolo della Regione Toscana, e mi affaccio sul panorama dell’Oltrarno e oltre. Tantissima gente sembra quasi eccitata per uno sprazzo d’Estate arrivata in anticipo.
Penso che è la prima volta quest’anno che sto in maglietta a maniche corte. In basso, con davanti uno spiazzo coperto di ghiaia, la palazzina neoclassica della Meridiana, quasi viennese nel suo stile austero. Rientro nel verde e scopro due ghiacciaie: piccoli edifici tondi col tetto a cupola. Un tempo vi si conservava il ghiaccio fatto arrivare dall’Abetone e usato per conservare le vivande delle cucine granducali.
Sarebbe bello se questo giardino fosse aperto più spesso gratuitamente.
Eccomi in cima alla collina e al di sotto la parte forse più famosa e fotografata di Boboli: la fuga prospettica verso il palazzo di pietra forte, che al sole sembra quasi dorata.
A mezza costa la Fontana del Nettuno, che i fiorentini, con la loro proverbiale irriverenza, ribattezzarono “della forchetta” o “del forcone”, per via del tridente del dio marino. In fondo l’anfiteatro artificiale con la vasca romana di granito e l’obelisco egiziano, l’unico in Toscana, vecchio di 1500 anni. Sulla destra, scendendo verso la città, la leziosa Kaffeehaus in stile rococò, dipinta nel tipico verde Lorena. Un edificio che meriterebbe davvero di essere valorizzato di più.
Alla fine del giro la Grotta del Buontalenti, frutto dei gusti bizzarri del granduca Francesco e, quasi idealmente a volerci salutare, il nano Morgante se ne sta nudo e allegro a cavalcioni della sua tartaruga.
Boboli non è solo arte e storia, ma anche e soprattutto natura, sebbene plasmata dall’ingegno dell’uomo. Qui si coltivarono e in parte crescono tuttora, rose, camelie, essenze esotiche e perfino ananas e caffè. Qui c’era anticamente il serraglio dei Medici, dove vissero per poco tempo, loro malgrado, una giraffa e un ippopotamo, ora impagliati alla Specola. Qui, come in altri giardini, i Medici dettero sfogo alla loro passione per gli agrumi. Piante delicate per il clima toscano, fatte crescere in conche di terracotta e messe al riparo nelle limonaie.
Oggi mentre scrivo è di nuovo domenica. Una giornata grigia, affogata nella pioggia e nel freddo. Più che aprile pare novembre. Ripenso al caldo, al sole, al verde e all’azzurro di quella domenica a Boboli. Ripenso che forse, con accanto qualcuno, tutto sarebbe stato ancora più bello.