Una manifestazione arrivata alla sua 65esima edizione ma capace di rinnovarsi ogni volta e di rivolgersi a un pubblico sempre più vasto grazie alla sua programmazione che propone il cinema documentario in tutte le sue declinazioni. Alessandro Stellino, che del Festival dei Popoli è direttore artistico affiancato da Claudia Maci alla direzione organizzativa, ci racconta come inizia il processo di selezione di un evento così importante che avrà luogo a Firenze dal 2 al 10 novembre: «Abbiamo visto 1500 film. Un numero che costituisce un record senza precedenti. Il processo di selezione è partito a gennaio, non sono solo in questo compito ovviamente ma sento la responsabilità di essere uno spettatore attento per le opere che ci vengono proposte».
I film d’apertura sono di grande attualità.
«Apriremo con il film di Paolo Cognetti Fiore mio, un documentario sulla sua relazione con la montagna che riflette su una questione ambientale come la penuria delle risorse idriche, ma anche sulle scelte di vita: un viaggio di incontri e di persone che hanno scelto di vivere in montagna. Il 4 novembre, alla vigilia delle elezioni americane, proporremo Homegrown di Michael Premo che racconta da vicino i suprematisti bianchi, gli elettori di Trump, con un documento eccezionale sull’invasione del Campidoglio del gennaio 2021».
Ci sarà una importante retrospettiva di una cineasta di lunghissimo corso.
«Renderemo omaggio a Judit Elek, regista ungherese nata a metà degli anni ’30 che ci farà l’onore della sua presenza. È ancora molto attiva ma ahimè poco nota fuori dal suo paese. Le sue opere sono state restaurate dal National Film Archive ungherese. A partire dagli anni 60 si è occupata sia di cinema del reale che di finzione: una pioniera che incontrerà il pubblico in una Masterclass».
Il cinema al femminile sembra essere un filo rosso che percorre tutta questa nuova edizione.
«Abbiamo aperto una collaborazione con un collettivo di registe chiamato The Purple Meridians che già da tre anni è impegnato nell’inclusività e di cui fanno parte cineaste da tutto il mondo. La loro presenza al festival sarà autogestita e proporranno 5 opere girate da donne su temi di militanza decidendo direttamente che tipo di incontri fare. Sempre a proposito di autrici presenteremo in anteprima nazionale Dahomey di Mati Diop, che ha vinto la 74esima Berlinale. Una straordinaria regista emergente che in questa opera riflette in maniera critica sull’eredità coloniale, sulle opere sottratte dalla Francia al Benin. Più del 50% dei film proposti quest’anno sono stati girati da donne».
Tra le novità c’è una nuova sezione che si chiamerà Discoveries.
«Affiancherà il concorso ufficiale e raccoglierà cortometraggi e mediometraggi realizzati da giovani autori che sperimentano linguaggi differenti. Ci sta molto a cuore la freschezza dello sguardo dei nuovi talenti, è anche in quest’ottica che abbiamo potenziato Popoli for Kids and Teens. Lo scopo è creare nei giovanissimi spettatori un dialogo col cinema documentario».
Questo è testimoniato anche dallo spazio dato alla musica.
«Certo! Posso anticipare che avremo un film sui Beatles intitolato Things we said today sul loro concerto di New York del 1965. Il film si concentra sull’attesa di tre giovani fan».
Tra le anticipazioni mi ha colpita il titolo di un film su un argomento controverso come la corrida.
«Albert Serra, l’autore, è un talentuoso regista catalano a cui abbiamo voluto fare un omaggio. Presenteremo i suoi lavori meno conosciuti che hanno a che fare col cinema del reale. Il film Afternoons of solitude farà discutere perché affronta un rituale di morte con un personaggio che recita, il torero, e uno che non lo fa, ovvero il toro. Lo spettatore ne trae le somme».