L’ultima attesissima opera di Martin Scorsese, uscita nelle sale italiane il 12 gennaio, è tratto dal romanzo Silenzio di Shūsaku Endō e parla di un percorso doloroso alla riscoperta della fede.

Sebastião Rodrigues (Andrew Gardfield) e Francisco Garupe (Adam Driver), sono due padri gesuiti portoghesi che partono alla ricerca del loro mentore Padre Ferreira (Liam Neeson), missionario in Giappone per diffondere e professare la dottrina cristiana.

Guidati dal traditore Kichijiro (personificazione della fragilità e della debolezza umane), si renderanno presto conto delle atrocità subite dal popolo convertito per mano dell’inquisizione dello shogunato, rimanendone essi stessi vittime.

Considerato dalla critica un capolavoro del cinema, Silence rappresenta per Scorsese il frutto di un lavoro durato quasi trent’anni. È qualcosa di totalmente differente dalle pellicole più recenti del regista: si trovano ancora una volta scene crude e violente, ma indubbiamente è un film profondo e introspettivo, forse troppo lungo (162’) e lento.

L’eccezionale interpretazione di Andrew Garfield rende il tutto ancora più intenso e drammatico, suscitando l’empatia dello spettatore, che prova la sua stessa sofferenza e angoscia, rimanendo emotivamente disorientato.

La storia si basa principalmente su fatti e personaggi realmente esistiti, come Padre Christovao Ferreira e Giuseppe Chiara, gesuita che ha ispirato Endō per il personaggio interpretato da Garfield.

Silence è la trasposizione cinematografica della forza della fede e del coraggio dei credenti che vanno oltre la paura della morte.

Il punto di vista è quello di Padre Rodrigues, ma attraverso l’autorità dello Shogun viene mostrata anche la visione dei giapponesi, un popolo che si vede lentamente colonizzato dall’attività missionaria, che non porta alcun rispetto alla loro cultura.

Il film tratta, dunque, l’eterna domanda del cristiano sul perché Dio non si manifesti nei momenti di maggiore bisogno. Tuttavia, dietro il titolo si nascondono anche i lunghissimi periodi in cui il protagonista, seppur costretto con la violenza ad abiurare, continua a professare la fede nel silenzio, perché «[…] la natura dell’uomo non si può spostare.»

di Bianca Bonacci