Un’identità professionale fluida, un mix delle più disparate competenze e l’adesione al lavoro autonomo. Si chiamano slash worker.

Insegnante/addetta stampa/scrittrice. Facilitatore/editor/fotografo. Sono freelance oppure lavoratrici e lavoratori con un’occupazione principale, affiancata da altre attività professionali. Sono i profili lavorativi della GenZ e di una parte dei Millennial. Sono il risultato della trasformazione del mondo del lavoro nell’epoca del digitale. Tra precarietà e inadeguatezza rispetto alla proposta del “posto fisso”, lo slash working si afferma come paradigma occupazionale della contemporaneità. Se per molte e molti è una scelta, per altre persone . una via di fuga dalla sovrapposizione tra identità personale e identità lavorativa. Ma essere slash worker è anche il risultato di una produzione – quella capitalista – che a una classe lavorativa unita preferisce la sua disgregazione in singole unità tra loro indipendenti ed estranee. E così il sedimentarsi di nuovi profili professionali insieme a una cultura del lavoro “su misura” rischia di erodere le politiche di welfare e la rappresentanza sindacale della classe lavorativa del ventunesimo secolo.

È possibile parlare di una nuova “slash working class”? E, facendo un passo indietro, è ancora possibile parlare di “classe”? A rispondere con grande incisività è stata la sociologa Francesca Coin al Festival di Letteratura Working Class organizzato dal Collettivo di Fabbrica GKN lo scorso aprile, invitando a lavorare e a produrre nuovi immaginari. Lottare contro il ricatto della fame, costruire contro-narrazioni, riconoscere l’eventualità del fallimento con la consapevolezza che la scelta di opporsi era davvero l’unica possibile. È questo ciò che continua operosamente a generare il collettivo di fabbrica: un nuovo modello di produzione, un nuovo modo di lottare, una nuova via per fabbricare sogni. Ed . questa la ricetta – difficilmente replicabile – da scomporre nei suoi singoli ingredienti: ricordare che povertà e precarietà non sono una colpa e che la patologizzazione della rabbia serve alle classi di potere per fermare il cambiamento.

Dall’8 marzo al 25 aprile, dallo stop al genocidio al comunicato di dipendenti Rai fino al Primo Maggio, arrabbiarsi ed essere solidali sembra l’unico modo possibile per stare insieme sotto assedio. Il ruolo dei media nella produzione di nuovi immaginari . centrale, non solo nello scegliere il taglio di un articolo ma anche e soprattutto nella scelta di cosa entra e di cosa rimane fuori dal prodotto editoriale. Noi di Lungarno ci incontriamo ogni mese nella nostra tradizionale riunione di redazione per pensare il nuovo numero in uscita. Quella che si è tenuta lo scorso 25 marzo e che ha dato vita al cartaceo che state sfogliando è stata la prima da me condotta, dopo il passaggio di testimone con Jacopo Aiazzi (che ringrazio con affetto). Non so se definirmi una slash worker, ma so che ho voglia di partecipare alla produzione di nuovi immaginari e di scriverli sulla carta. E, soprattutto, di non farlo da sola.

 

In copertina: un ritaglio dalla grafica di copertina del numero di Lungarno di maggio 2024, illustrato da Giada Ionà