Dal 1998, Vienna si è dotata di un ufficio di coordinamento dedicato alla pianificazione di genere ed è considerata pioniera nel perseguire la strategia del gender mainstreaming. Per gender mainstreaming si intende quel processo che mira a promuovere la parità di genere in relazione alla sfera del potere pubblico, intervenendo sulla riorganizzazione della città contemporanea. Si parla di ri-organizzazione perché l’attuale configurazione degli spazi ‒ come dei tempi ‒ urbani è la risultante di una progettazione pensata da uomini per un utente-tipo universale, il maschio bianco cis etero abile e di reddito medio-alto.

L’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci ma anche il Modulor di Le Corbusier ‒ oltre a essere icone della storia dell’arte e del design ‒ rappresentano casi esemplificativi di come le metriche maschili si materializzano in oggetti, servizi e architetture letteralmente a misura d’uomo.

Lo spazio pubblico non è neutrale. Ne sono esempio l’inefficienza dei trasporti pubblici rispetto ai bisogni delle utenti (in maggioranza donne), la scarsa illuminazione delle strade, la toponomastica sessista e tante altre tracce ostili dei tessuti urbani che ‒ come efficacemente sostiene Leslie Kern in La città femminista «sono l’iscrizione in pietra, mattoni, vetro e cemento del patriarcato». L’androcentrismo culturale si riverbera tanto nell’urbanistica e nel design dei servizi, quanto nelle architetture del web e nella progettazione degli algoritmi che riproducono bias di genere.

Il servilismo di Alexa e di Siri come il software di reclutamento del personale di Amazon che privilegiava le assunzioni maschili sono altre tracce virtuali di un fenomeno sistemico e strutturale che, dal web alla città fino alla letteratura, continua a precludere e a riprodurre disparità. E questa disparità, come ben sappiamo, non tocca solo la differenza di genere ma anche la pluralità di identità dissidenti che nel concetto di intersezionalità trovano finalmente il loro riconoscimento. Riconoscere per affermarne l’esistenza.

Possiamo iniziare così, dalla quotidianità di uno strumento trasformativo come quello della lingua. Le parole, da sole, non esauriranno certo questa lotta ma rappresentano un passaggio cruciale per intervenire sul dominio maschile, o per lo meno, iniziare a farlo.