BLACK OX ORKESTAR
Everything Returns
(Constellation)
Dopo più di quindici anni di silenzio torna con il nuovo album il collettivo Black Ox Orkestar, che al suo interno annovera il meglio dell’illuminata scena musicale di Montreal tra cui anche Thierry Amar e Jessica Moss dei Godspeed You Black Emperor e Thee Silver Mt. Zion. Una strana e magnetica miscela sonora che mescola il cantautorato crooner e il post rock con il folk della tradizione yiddish e balcanica, che abbraccia le radici ebraiche della band. Il gruppo amplifica una minuziosa ricerca nella musica popolare con il suo sconvolgente talento, tra strazianti melodie e potenti misticismi creati dagli archi, dalla sessione di fiati e dalla voce baritonale di Scott Gilmore che scalda e avvolge. Un ritorno in grande stile con un album cosmopolita senza tempo, destinato a durare negli anni.
LELAND WHITTY
Anyhow
(Innovative Leisure)
Pescato last minute tra le scarse uscite interessanti di dicembre, il debutto solista di Leland Whitty, principalmente conosciuto come sassofonista e polistrumentista dei BADBADNOTGOOD, stupisce per la sua maturità. Dopo una serie di produzioni cinematografiche/televisive e le collaborazioni con giganti come Kendrick Lamar e Earl Sweatshirt, in “Anyhow” l’intelligenza musicale di Whitty costruisce texture elettroniche e organiche con arrangiamenti sontuosi, dal vago sapore cameristico, e padroneggia con stile le sue sette tracce. Coadiuvato dagli stessi membri di BBNG, in questo album l’artista canadese continua a reinterpretare con originalità il jazz, miscelando suggestioni à la Jonny Greenwood e cinematiche, con archi e assoli che si rifanno ai maestri John Coltrane e Miles Davis.
DEAD MEADOW
Force Form Free
(Blues Funeral Recordings)
Con all’attivo una fanbase importante, che spazia dall’indie depresso al capellone infoiato, e più di vent’anni di rumorosa carriera, tornano i rimastoni rock-psichedelici di Washington, Dead Meadow, con il nuovo “Force Form Free” che porta il loro amore per l’hard rock dei primi anni ’70 e la psichedelia degli anni ’60, verso inesplorate galassie. Un meraviglioso viaggio tra una miriade di suoni, melodie e atmosfere, dove la voce di Jason Simon è ridotta al minimo: un progetto che cattura e ipnotizza, con il coraggio e la voglia di rimettersi in gioco per l’ennesima volta. La musica di questo lavoro è come un tappeto orientale dagli strani e colorati disegni che affascinano e stupiscono, minuziosamente tessuto con la massima cura per i dettagli, sul quale è bello volare e meditare.
in foto: Dead Meadow (da Flickr by UT Connewitz)