Conosco una ragazza iraniana di trent’anni, a cui darò il nome di fantasia di Maryam, che vive e lavora da qualche anno a Firenze.

Non è una militante né una nazionalista né una persona particolarmente appassionata di politica o di religione in generale. Piuttosto ama il proprio lavoro, normalissimo, che le permette di essere indipendente nonostante le difficoltà che chi lavora e paga un affitto da queste parti conosce. È dovuta tornare nel suo paese di origine per un paio di settimane, proprio nel momento in cui divampa quella che forse è la rivolta decisiva contro il regime teocratico che dal 1979 lo governa.

Volevo in questo pezzo riportare il suo punto di vista, ma i controlli informatici imposti e il comprensibile e giustificato timore (persino di uscire di casa) ce lo impediscono: non posso che prenderne doverosamente atto. Confido di incontrarla al suo ritorno, curioso di conoscere il punto di vista di una ragazza (una donna) che noi a tutti gli effetti definiremmo comune, in un senso che forse per noi sarà banale e degradante, ma che certi contesti ci aiutano a capire che così non è.

Ne parlo allora con Sanaz, portavoce della comunità iraniana e del Movimento Donne Vita e Libertà di Firenze:

“Quella in Iran non è una protesta spontanea di poche ragazze benestanti (e persiane) di città, ma una rivolta generalizzata e diffusa, che coinvolge tutti i numerosi gruppi etnici (tra cui le minoranza maggiormente colpite, quella kurda e quella beluchi), e sia i centri che le periferie, che non è (solo) una questione di genere. Si stanno compiendo veri e propri massacri, le violenze e gli assassini da parte dei pasdaran (guardiani della rivoluzione, ndr) sono all’ordine del giorno, anche di donne e bambini”.

La prima cosa che mi interessa conoscere però è quale sia la condizione della donna iraniana oggi.

Le donne in Iran hanno e continuano ad avere accesso all’istruzione, rappresentano il 60% delle iscrizioni universitarie, salvo poi essere fortemente penalizzate sul posto di lavoro, ma al di là di questo mancano libertà essenziali, non solo essere libere di vestirsi come vogliono o di fare lo sport che preferiscono. Ad esempio divorziare è un’utopia e quasi impossibile ottenere la custodia dei figli”.

Però possono ancora uscire sole e guidare.

“Certo, alle spalle abbiamo una storia lunga e da sempre le iraniane ricoprono ruoli importanti nella società, perciò proprio ora pretendiamo che ci vengano riconosciuti i diritti civili e abbiamo la forza per farlo”.

Quali sono le limitazioni che il regime ha imposto dall’inizio delle proteste?

Internet è sempre più limitato, in televisione o sui giornali non c’è libertà di opinione, le associazioni o le proteste sono vietate”. Per la prima volta però si ha la sensazione che le proteste possano davvero portare a un regime-change: “non esitiamo a chiamarla rivoluzione. Una rivoluzione di tutti, di cui le donne sono state solo la scintilla. Perché questo regime penalizza tutti e sotto tutti i punti di vista, politico, economico, privato. Non è certo una cosa che riguarda solo le donne!”.

E cosa chiedete con il Movimento?

Vogliamo che i governi occidentali prendano una posizione ferma seguita da azioni concrete contro il regime e non si limitino a dire che è brutto e cattivo continuando a farci affari”.

Chiamo in aiuto Alice Pistolesi (Atlante delle guerre e dei conflitti, di cui abbiamo già parlato su questa rivista, esperta in geopolitica internazionale e da sempre al fianco dei movimenti dal basso).

“Onestamente non credo che la pressione internazionale dal basso possa portare qualche risultato concreto, ma le rivolte attuali possono portare secondo molte fonti autorevoli a un reale cambiamento del paese. O il regime adotta riforme serie e profonde a tutto campo oppure rischia il collasso. Sarebbe la prima volta che un cambiamento politico di questa portata nasce e si catalizza intorno a un’istanza femminista e a un gruppo di donne”.