Una realtà legata all’audio-visivo tra le più importanti e riconosciute in Italia è nata, e sta crescendo sempre di più, a Firenze. La passione per il cinema e la creazione di contenuti ha portato infatti Omar Rachid, fondatore di Gold Enterprise, a passare dalla moda alla virtual reality (VR).

Gold nasce come negozio di abbigliamento street nel 2003. In precedenza, avevo lavorato nel settore dello streetwear a New York ma la mia prima identità è quella di writer. Volevo creare un brand che fondesse le due esperienze, con una comunicazione non convenzionale. Qui entra in gioco un’altra delle mie passioni e cioè il cinema. Ho iniziato creando le campagne di comunicazione per il brand Gold ma col tempo, vedendo che le richieste venivano anche dall’esterno, mi sono spostato sul lato creativo e ho quindi chiuso il negozio. Ho iniziato a fare documentari, il primo è stato Street Opera. Mentre andavo avanti con il cinema ho voluto sperimentare nuove tecnologie e sono così arrivato alla realtà virtuale”.

Quali sono le prime opere realizzate in VR che hai visto da spettatore? 

“Come in molti ambiti tecnologici è l’universo del porno a fare da apripista e un video hard in realtà virtuale è stato effettivamente la prima cosa che mi è stata mostrata. La qualità era scadente ma ho capito che era un linguaggio unico. Ho comprato il mio primo visore il giorno del lancio insieme alle Go-pro per fare le riprese. Ne ho parlato con Elio Germano che è un amico e ha condiviso il mio entusiasmo. Ci siamo organizzati per la distribuzione oltre che per la realizzazione. Il problema era che rimanevano esperienze che non raggiungevano un grande pubblico; quindi, insieme a Elio ho realizzato Segnale d’allarme, trasposizione di un suo spettacolo teatrale. Abbiamo acquistato 15 visori (che ora sono diventati 200) e organizzato tour e allestimenti per presentare i nostri lavori”. 

Cosa ha comportato lo scoppiare della pandemia? 

“Durante il primo lockdown ho realizzato con la Rai Lockdown 2020: l’Italia invisibile che ha raccontato quel momento in cinque città italiane rappresentative. Con Elio Germano poi abbiamo anche fatto Così è (o mi pare) da lui scritto, diretto e interpretato. Produttivamente siamo stati molto attivi e anche nella fruizione siamo stati tra i primi a ripartire: il distanziamento non era un problema essendo l’esperienza col visore estremamente individuale. È una circostanza che ci ha stimolati. 

Il visore è il tramite tra lo spettatore e l’esperienza della realtà virtuale. Con le disposizioni dovute all’emergenza sanitaria ci sono stati dei problemi dal momento che deve essere indossato? 

“Non c’è nessun tipo di rischio poiché il visore viene sanificato tramite luce UV dopo ogni utilizzo e rimbustato. È una nostra priorità comunicare allo spettatore che può vivere l’esperienza in totale sicurezza”. 

Quanto passerà prima che il visore diventi un oggetto che chiunque possiederà? 

“Dobbiamo guardare molto indietro a come si sono affermati la televisione o il giradischi, per esempio. Si dovrà passare da una fase collettiva e sociale. Se ci saranno sale pubbliche che permetteranno l’esperienza virtuale, automaticamente si aprirà la prospettiva della fruizione domestica. Bisogna lavorare per creare una molteplicità di contenuti che invoglino sempre di più poiché abbiamo constatato che è un’esperienza che colpisce. È il linguaggio con cui si racconta la VR che va anche cambiato, perché non si fraintenda assimilandola a un’esperienza cinematografica tradizionale”.