Qualche settimana fa è venuto il padre del mio vicino di casa. Era la prima volta che lo vedevo, ma immagino che venisse spesso, in condizioni normali. È un uomo sulla settantina, porta sempre un lungo impermeabile beige, signorile, degno di un personaggio di Simenon. 

Si è seduto sul muretto del cortile condominiale, portava della posta al figlio. Imperfezioni incorreggibili che i cambi di residenza si portano dietro: brandelli delle nostre vite non si arrendono al trasloco e continuano a presentarsi, puntuali, in non-luoghi. Si è fermato a chiacchierare. Con la mascherina, a debita distanza, mentre cedeva lentamente le buste, una ad una. 

All’inizio le sorti del campionato di calcio la facevano da padrone. Poi, man mano che la lunghezza delle pause aumentava, e i lunghi respiri del figlio facevano presagire l’avviarsi a una conclusione, ecco che andava a pescare nel suo arsenale più disarmante: “lo sai, quando eri piccolo tu, ti eri fissato con quel pupazzo, un pagliaccio, te lo ricordi? Non potevi stare senza, e io e tua madre…”.

Il mio vicino ha a sua volta due figlie. È rimasto lì, annuendo e sorridendo, seduto un po’ ingobbito, come l’adolescente annoiato ma educato che sicuramente sarà stato, che in parte non ha smesso di essere. Il padre è tornato anche il giorno di Pasqua, stavolta c’era anche la nonna. Hanno portato le uova di cioccolato alle nipotine, alle quali hanno fatto ciao con la mano, loro in balcone, come me. 

Il mio vicino invece è sceso per le consuete “due parole”. “Ma mi ascolti? Te ne stai lì con quell’aria distratta!”“No, no, papà, ti ascolto…”“Sai, la battaglia di Canne fu una vera e propria disfatta per l’esercito romano. Sai chi era il console in carica?”. “No, papà”. “Varrone! Tutti si ricordano di Annibale, ma in realtà…”.

Mezz’ora dopo sono scesa nel cortile per giocare a ping pong con mio fratello, ed erano ancora lì. Mio fratello è molto più piccolo di me, è cresciuto tra gli adulti e per questo è sempre a rincorrerci. Non dovrei farlo ma ogni tanto, se sto vincendo, fingo di perdere il conto dei punti. Lui è correttissimo: “siamo 14 a 8 per te”, “14? No, mi pareva 13!”“Sei sicura?”, “Sì, mi pare!”.

Lui crede alla mia buona fede, ma io mento. Dal balcone ci saluta papà. 

È sempre al telefono per lavoro, ma ogni tanto scende a giocare. Ha anche vinto il torneo condominiale il giorno di Pasquetta. Dal momento che, nonostante tutto, ho vinto la partita contro mio fratello, ora sta a noi due. “Quanto stiamo, pa’? 10 – 8 per te?”“10? Non credo, mi pareva 9”.