Il lavoro di Maria Chiara Venturini, classe 1992, nata ad Arezzo ma di casa a Los Angeles, è insolito, accattivante, deliziosamente dark e irriverente. Un fantastico e grottesco mix fra elementi felliniani e burtoniani, con delle incursioni in una autorialità più contemporanea come quella di Jennifer Kent (Babadook). Per entrare nell’universo di Maria Chiara è consigliato iniziare dal suo curatissimo sito mariachiaraventurini.com dove sono raccolti i suoi principali progetti (videoclip musicali e cortometraggi) presentati al visitatore con lo stile gotico che caratterizza anche la sua regia.

Chi è Maria Chiara?

Una che è arrivata al cinema per caso, perché aveva esaurito tutti gli strumenti che aveva per esprimersi. Ho iniziato con la fotografia e, benché sia rimasta una delle mie passioni, ho capito che non sarebbe stata il mio lavoro. Sentivo che c’era altro da esplorare, allora ho iniziato a disegnare e ho proseguito la mia ricerca. Sono andata in Australia dove ho lavorato per un fotografo, studiato l’inglese e il cinema prima di approdare a Los Angeles.

È nata prima la passione per il cinema o per l’animazione?

Un giorno ho capito che dovevo guardare quanti più film possibili e così ho fatto vedendo letteralmente di tutto ed è lì che ho scoperto l’animazione. Sono rimasta folgorata dal lavoro del regista ceco Jan Švankmajer, la sua oscurità mi ha ispirata.

Nel tuo lavoro c’è un’evidente ricerca letteraria oltre che cinematografica. Quali sono i tuoi scrittori e registi di riferimento?

Sono una lettrice accidentale e un po’ smemorata, per questo ho sempre annotato su una delle mie agende qualsiasi cosa abbia visto o letto. Disegno personaggi, annoto osservazioni di questo mondo che mi piace definire grottesco. Tra i registi uno dei miei riferimenti è sicuramente Fellini che prendeva nota dei suoi sogni. Credo che il vero lavoro di un regista stia nell’osservare il quotidiano e rielaborarlo. A me piace notare in tutto l’assurdo, ed è una cosa che mi capita spesso sia quando da Los Angeles torno ad Arezzo che viceversa. Vedo cose che fatico a convincermi che facciano parte della normalità.

Un film recente che mi ha molto colpito è Midsommar. Era ora che si facessero film horror così! Non si capisce che cosa sia a terrorizzare, ma è sicuro che l’inquietudine ti rimane appiccicata addosso. È l’ipotesi che l’assurdo possa realizzarsi. Il successo di film come questo mi spinge a coltivare la mia visione.

Il 2019 è stato un anno molto importante che ha visto presentato, durante la Settimana della Critica alla Mostra di Venezia, il tuo ultimo cortometraggio Fosca. Progetti per il futuro?

Mi sto rendendo conto solo ora a mesi di distanza cosa ha significato il passaggio a Venezia di Fosca. Lo avevo pensato come un “biglietto da visita” da presentare ai produttori a Los Angeles durante i meeting, ma non che potesse arrivare a tanto. Adesso sto per tornare negli Stati Uniti. Ho una manager molto brava e ho scritto due film, uno dei quali particolarmente complesso tanto che temo di spaventare i produttori! (ride) Ma la verità è che non vedo l’ora.