Pare che nei supermercati – non quelli americani dei telefilm, bensì quelli comuni, familiari, nostrani: all’Esselunga, all’Eurospin o al Margherita, che un tempo c’era e forse ora non c’è più – pare che nei supermercati, dicevo, venga impiegato personale in borghese, e cioè individui privi di grembiulone e cartellino con le iniziali, umani abbigliati come normali clienti o anzi, travestiti da normali clienti con il solo infamante obiettivo di sgamare i taccheggiatori ed esporli al pubblico ludibrio, giacché in effetti che si chiamasse la pula non si è mai visto. 

Viene da interrogarsi sull’origine di tanto accanimento, ed è presto detta. Per illuminarla, si potrebbe ricorrere a concetti quali – in semiotica – significato e significante, la performance art degli anni Settanta, il socialismo e certi passaggi biblici, ma preferisco ripescare un esempio che uso da sempre; un fatto, secondo me, illuminante; un’immagine che riciclo con frequenza tale da indurre il sospetto che non ci sia più uno straccio di idea originale in questa rubrica, che dovrei forse – e sarebbe meglio – lavorare la terra, imparare una lingua, riciclare la plastica; ma l’esempio, posso garantirlo, è buono, e pertanto lo utilizzerò lo stesso.

taccheggiatori

Si tratta del mio amico N., detentore di un part-time nell’editoria con una sfilza di straordinari mal pagati da far girare la testa. Le rare volte che si reca al super si fa consigliare dal personale bottiglie costose, che in seguito porta a casa senza pagare. Al tizio sotto mentite spoglie che lo fermerà, in un sabato pomeriggio del futuro, dirà che è cosa lecita appropriarsi di ciò che è già nostro.