Sebbene Firenze sia meta di globali pellegrinaggi volti ad ammirare contemplare e fotografare lo sterminato patrimonio artistico cittadino, oscura e sconosciuta ai più è la storia dell’uomo che, con determinazione, sfrontatezza e coraggio, lo ha difeso. Il suo nome è Rodolfo Siviero. Agente segreto fascista ma detective partigiano, raffinato salottiero e rustico segugio, topo da biblioteca e inguaribile sciupafemmine. Di nome Rodolfo come Valentino, il suo amore per il gentil sesso era secondo solo a quello per l’arte. Fascista della prima ora, viene arruolato come agente segreto nel Sim (Servizio Informazioni Militari). Sotto la copertura di una borsa di studio in storia dell’arte nel 1937 il governo lo spedisce in Germania a spiare i non ancora alleati tedeschi. Di stanza a Berlino, studia e conosce i metodi del Kunstschutz, corpo militare addetto alla protezione del patrimonio artistico nazionale. Preoccupato dalla crudeltà e spregiudicatezza nazista, che bolla come “feroce e stupida”, di ritorno in Italia allaccia i primi contatti con gli Alleati e con i movimenti antifascisti. Costituisce una fitta rete d’informatori e d’infiltrati e dal suo quartier generale – un villino su Lungarno Serristori – inizia l’attività di sabotaggio di acquisti illegali e di ruberie di opere d’arte in atto da parte dei nazisti.
Ora può finalmente mettere insieme le sue due anime principali: appassionato d’arte e spia sotto copertura. Se non può entrare nella storia dell’arte da protagonista, adesso se ne può ergere a paladino. Innumerevoli le sue mirabolanti avventure.Con astuzia e inganni recupera a Fiesole la collezione privata di Giorgio De Chirico e a San Giovanni Valdarno un’Annunciazione del Beato Angelico, destinata alla collezione provata di Göring. La sua attività doppiogiochista è tanto ardimentosa quanto pericolosa. Nel 1944 viene catturato dalla Banda Carità, imprigionato e torturato a Villa Triste, al n.67 di Via Bolognese.
Terminato il conflitto, il Governo gli affida ufficialmente il compito di recuperare le opere d’arte trafugate e Siviero viene designato “Capo Ufficio Recuperi”. Nel 1948 ottiene la modifica dell’art. 77 del Trattato di Pace di Parigi e negozia la restituzione delle opere d’arte acquistate illegalmente dai gerarchi nazisti prima dell’armistizio. Tra queste la Danae di Tiziano, la Leda di Tintoretto, il Discobolo Lancellotti e la celebre Madonna del Solletico del Masaccio. Il suo passato chiaroscurale e i suoi metodi spregiudicati hanno generato nei suoi confronti invidie e antipatie bipartisan. Comprensibile, per un agente segreto fascista e antifascista insieme, che disinvolto si faceva fotografare con un ritratto del ‘400 nella mano sinistra e una sigaretta in quella destra. Che si atteggiava a signore del Rinascimento circondandosi a casa delle opere recuperate, trattenute un po’ presso di sé prima di riconsegnarle ai legittimi proprietari.
Se gran parte del nostro patrimonio artistico è ancora integro e ammirabile dai nostri occhi e da quelli delle future generazioni grazie alla spettacolare opera del Siviero, questi non è mai stato assunto con contratto regolare e si è visto riconoscere la pensione solo da morto. Rodolfo Siviero muore nel 1983 e la sua salma riposa nella Cappella San Luca del Convento della Santissima Annunziata. Tra il Cellini e il Pontormo giace Siviero, ultimo a ottenere il privilegio di essere sepolto accanto agli artisti. La traccia tangibile del suo temerario percorso oltre che agli Uffizi, a Palazzo Pitti e in altri numerosi musei sparsi per la penisola, si può ancora ammirare nel Villino sul Lungarno Serristori, donato con disposizione testamentaria alla Regione Toscana, che ne ha ricavato il Museo Casa Siviero. Vagando per le stanze eleganti zeppe di opere d’arte, ci si può affacciare dalla finestra del suo piccolo studio e ammirare Firenze. La stessa raffinata e artistica Firenze che lui ha protetto e difeso con visionario coraggio.