Farid ha litigato con sua moglie stamattina. È stata una discussione impacciata, fra interruzioni Skype, messaggi di attesa, cattive connessioni, chiamate internazionali: lui stava in piedi, ticchettava nervosamente le dita sulla porta del retrobottega, ho chiesto: “Va tutto bene?” mi ha risposto “Bisogna litigare bene, amico. Se non si litiga bene, non si perdona bene. E se non si perdona bene, non si perdona mai”. Poi mi ha detto anche di “dare un occhio al banco”, di non toccare le piadine a mani nude, di chiamare il fornitore e dirgli che manca la maionese. E poi ha ripreso a parlare nella sua lingua, ogni tanto si interrompeva, guardando per terra, da qualche parte nella notte indiana una donna stava piangendo, io lo sentivo che quello era un pianto, logorato e secco, e Farid non saprei dire cosa le abbia detto per rassicurarla fatto sta che ad un certo punto, dopo un lungo sibilo, c’è stato un silenzio e poi le parole sono tornate a germogliare con lentezza, la buriana era finita e sono sicuro che Farid stesse pure ridendo.

Forse avrei dovuto litigare bene con Matteo N., in quarta elementare, per avermi macchiato d’inchiostro l’astuccio dei Power Rangers, forse avrei dovuto litigare bene con l’istruttore di scuola guida, col professore di latino e greco, col mio metabolismo, con la catechista, con la ragazza cinese della lavanderia a secco, con tutte quelle persone che per un motivo importante – e a vario titolo i Power Rangers sono stati molto, moltissimo, importanti nella mia vita– mi hanno impedito di perdonare, di saper seminare lunghi silenzi per poi veder crescere parole lente, piene. Come Farid che, prima di salutare la moglie, è uscito dal negozio, un sole stemperato e giallo stava appeso nel cielo di Firenze d’ottobre, un sole tondo come nei disegni dei bambini, lui ci si è gettato addosso, l’ho visto sparire e sono sicuro stesse pure ridendo.

Essegiesse Forniture alimentari, buongiorno”.
Ah, sì, buongiorno. Chiamo dal Kebab di via…chiamavo per la maionese”.