Erano molto diverse le cose, allora. Dalla fine della scuola la città progressivamente andava svuotandosi. Prima come un lavandino un poco ingorgato, a piccoli strappi successivi. Poi tutto di un botto chi restava era solo nella canicola agostana. Non c‘erano ancora le frotte di turisti a sciamare dal Duomo in ogni dove, e si poteva agevolmente cercare ombra saltando da un “chiuso per ferie” all’altro.

Non c’erano veri e propri punti di ritrovo, spazi all’aperto o bar stagionali: si doveva far tappa dal cocomeraio a destra subito dopo il ponte dello Statuto tagliando la notte solinghi mentre dai giardini saliva l’odore delle annaffiature tardive. L’estate diventava un conto alla rovescia di piazze vuote, che attendevano di essere ancora percorse dalla frenesia quotidiana. E tra un torpedone e l’altro, ancora in grado di raggiungere il centro, si aspettava lentamente che tutto tornassero, e che un ‘altra estate finisse.

 

di Leandro Ferretti