di Carlo Benedetti
La sinagoga di Firenze apparve all’improvviso: da dietro l’inferriata, svettavano una triade di guglie verderame e un semicerchio di marmo color ambra. Gli sembrava così alta, vista dal suo metro e mezzo di undicenne.
«Cercavo il rabbino» disse al custode.
«E perché lo cerchi?»
Non era sicuro. Fu costretto a confessare, in quella stanza piccola e afosa, piena di monitor in bianco e nero, che non era sicuro. Che sua nonna era morta e che non era chi pensava che fosse. Che non avevano voluto seppellirla con il nome con cui lui l’aveva chiamata centinaia di volte, “Rachele”, ma con un altro, misterioso: “Ruth”.
Il custode lo squadrò da capo a piedi, spense la sigaretta.
Che aveva visto il ristorante lì accanto: si chiamava come la nonna. E che era entrato e l’avevano convinto ad andare in sinagoga e chiedere del rabbino.
«Nonna materna o paterna?» chiese il custode.
L’undicenne rimase in silenzio.
Il custode scosse la testa, si alzò e gli si piantò davanti: un uomo massiccio, alto il doppio di lui.
«Materna»
Il custode annuì, «Mazel tov» borbottò, e gli fece segno di seguirlo.
L’undicenne si sentì cresciuto di qualche centimetro, d’improvviso pensò che non era più un bambino. Una sensazione nuova, lui sempre il più piccolo della classe.
«Ma cos’è successo?» chiese al custode che camminava molto più veloce di lui, tagliando il giardino con delle lunghe falcate, senza degnarlo di un’occhiata.
«Ce lo chiediamo tutti» disse indicandogli una porticina in legno nascosta dietro una palma spelacchiata, «se lo scopri, fammelo sapere».
Abraham B. Yehoshua, La figlia unica, Einaudi, 2021 – 18€