Finalmente vede la luce “Solo al sole”, il nuovo lavoro di Andrea Mastropietro, in arte l’Albero, un disco importante di cui abbiamo avuto la fortuna di seguire la genesi e il riuscito sviluppo. Non potevamo esimerci dal fargli qualche domanda:
Dal rock psichedelico di matrice inglese con The Vickers al cantautorato italico, due mondi diversi che però nascondono analogie. Com’è avvenuta questa metamorfosi?
È successo tutto in modo molto naturale e spontaneo. Durante gli ultimi tour europei dei The Vickers ho sentito crescere sempre di più l’esigenza raccontarmi in un modo più originale e personale, semplicemente più mio. Per fare questo nel senso più vero e autentico (per me la verità è assolutamente necessaria per fare musica) ho capito che l’italiano era la lingua che dovevo usare e approfondire per l’unica e semplice ragione che è la mia lingua. Esprimersi con la propria lingua ti consente di avere meno filtri, ti aiuta ad essere più diretto. Questo contemporaneamente mi ha fatto sentire più nudo e vulnerabile, non ci ero così abituato visto che provenivo dall’inglese, ma in fondo forse era anche quello che cercavo, quando si dice la verità non si hanno vestiti da indossare. Queste cose che ora ti ho spiegato si sono schiarite nella mia mente lentamente, all’inizio quella di approfondire l’italiano era solo una voglia poco razionale e molto istintiva, poi ho iniziato a divertirmi e a provarci gusto.
Alla fine penso di fare musica in italiano e non musica italiana, non perché abbia qualcosa contro di essa anzi il contrario, è che non trovo che ci sia stata una vistosa rottura con le cose che facevo prima, per me sono due mondi che si collegano molto naturalmente e spontaneamente.
Gli artisti italiani che mi ispirano di più sono quelli che hanno saputo unire la passione per la musica straniera con l’identità musicale e culturale italiana; penso a Luigi Tenco, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Pino Daniele, Paolo Conte etc… Dall’ascolto dei loro dischi cerco di imparare la lezione e in questo mio nuovo lavoro ho cercato proprio di fondere tutto quello che mi appassiona musicalmente parlando e non, dagli anni ’70 al Brit Pop dei ’90, dal pop folk psichedelico dei ’60 alla neo psichedelia degli anni 2000.
Un disco apparentemente semplice, ma che cresce ascolto dopo ascolto. Quanto è difficile oggi essere originali?
In teoria essere originali potrebbe essere una cosa non troppo complessa; basta essere se stessi, fare quello che a uno piace, eppure, soprattutto in questi tempi essere originali è la cosa più difficile e che richiede più lavoro. La musica mainstream spinge continuamente ad appiattire le sonorità, stessi produttori, stessi autori. Sono d’accordo con Sir Elton John quando recentemente ha dichiarato che non esistono più gli autori di canzoni, dal momento che oggi esistono equipe di persone che lavorano per costruire un prodotto che poi di artistico non ha praticamente niente, esso è un prodotto commerciale, e questo lo dico senza alcun giudizio morale sia chiaro, è un dato di fatto. La cosa che vorrei è che ci fosse più distinzione tra chi scrive perché ha qualcosa da dire e chbi lo fa per non fare un altro lavoro, non perché chi ha qualcosa da dire conta di più o è più meritevole di importanza, ma semplicemente per il fatto che le due cose non possono essere messe insieme nello stesso spazio e contesto; oggi questo fenomeno di mischiamento sembra stia diventando la normalità. A me piace vedere l’autore dietro la canzone, mi piace ascoltare e capire, mi piace farmi affascinare da quello che rimane più nel mistero. Ascolto una canzone che magari non conosco, non so chi l’ha scritta, ma se essa è autentica, ben scritta, e soprattutto vera, allora riuscirò a sentire l’essere umano che sta dietro quel pezzo di musica.
Per quanto riguarda invece l’apparente semplicità di cui tu parli nella domanda ti dico questo: oggi siamo abituati a prestare la nostra attenzione solo all’aspetto superficiale della semplicità, guardiamo solo alla forma e poco alla sostanza. In realtà le cose semplici sono le più difficili da realizzare. Esse posseggono l’incontro perfetto tra forma e sostanza, tra l’immediatezza e la ponderatezza dell’equilibrio, e quest’ultimo è tra le cose più complesse da raggiungere in ogni ambito della vita. Questo è quello a cui ho sempre mirato io nella mia musica, cioè essere semplice ma mai banale e vuoto. Purtroppo molto spesso ci si ferma alle apparenze e ciò che appare semplice per molti rimane tale, senza approfondimenti ulteriori. Alcune tra le cose più belle scritte in musica hanno il dono della semplicità e della linearità pur essendo opere di avanguardia o di rottura, opere futuristiche; penso ad alcune cose dei Beatles e di Bob Dylan, oppure a uno come Rino Gaetano, all’epoca considerato da alcuni quasi solo come un menestrello circense, quando in realtà andava a toccare dei temi scottanti per la società italiana dell’epoca, ma lo faceva in una forma semplice a accessibile. Questa di confondere il semplice con il leggero e il poco impegnato è una abitudine prettamente italiana, abitudine molto accademica da puzza sotto il naso.
Storie comuni in cui ritrovarsi, con i sentimenti e l’amore sempre in sottofondo. Che messaggio vuoi dare con i tuoi testi?
Racconto quello che penso di questa vita, né più né meno. È l’esistenza umana che mi affascina e che mi muove. Il perché delle cose, soprattutto le domande considerate più banali, quelle che quando uno cresce e diventa adulto non affronta più. Che pensi del cielo? Perché a volte piangiamo? Mi piace la contemporaneità? La accetto? Chi sono io? saprei definirmi? E potrei continuare all’infinito… Come gli alberi hanno la loro parte esteriore e visibile (la chioma) e la parte nascosta (le radici) così sono gli uomini. Gli uomini sono pieni di cose che mostrano e altre che nascondono. Gli alberi sembrano tendere al cielo e a qualcosa di più alto, anche se sono ancorati fortemente al terreno, sono come noi che siamo materiali, terreni e carnali ma abbiamo anche il desiderio di guardare più in sù per arrivare a qualcosa di più grande. Questo dualismo mi affascina e appassiona. Charles Baudelaire in un suo saggio ha scritto: “l’artista non è tale se non a condizione di essere duplice e di non ignorare nessun fenomeno della sua doppia natura“.
L’amore è spesso presente nelle mie canzoni. Quello di cui parlo è l’amore per tutto, non solo l’amore per una persona, ma anche quello per le idee e per le cose più materiali. L’amore -qualunque cosa esso sia e qualunque siano le sue forme- è quello che ci distingue dalle macchine, non dovremmo mai dimenticarcelo. Chi si vergogna o non si trova a suo agio a parlare di amore non affronta una parte fondamentale della vita. Se John Lennon non avesse scritto di amore e di come le persone si relazionano ad esso, oggi non potremmo ascoltare il suo primo disco solista “John Lennon Plastic Ono Band” per me uno dei dischi che sta alla base di ogni forma di cantautorato, soprattutto di quello in prima persona. Concludo dicendo che quando c’è l’amore c’è anche automaticamente il “non amore”, altrettanto importante. Anche quello recita una parte importante nelle mie canzoni, in questo disco ho tenuto a fare dichiarazioni di amore a cose e persone ma anche a specificare quello che sento lontano da me e che non posso o non riesco ad amare.
La musica indipendente italiana sta attraversando un momento molto strano, iniziato prima del delirio Covid. Da veterano de “la scena”, come la vedi?
Negli ultimi cinque/sei anni ci sono stati grandissimi cambiamenti nella musica italiana, non solo quella indipendente. Quest’ultima è riuscita ad imporsi anche ad un livello commercialmente più rilevante, prima era impensabile. Giudico questo positivamente, come anche il fatto che si sia ridotta la distanza tra il cosiddetto indie e il mainstream, alcuni autori provenienti dai “bassifondi” scrivono pezzi per nomi più blasonati. Chiaramente questo tipo di cambiamenti genera anche tutta una serie di cose su cui invece sono un po’ più critico. Diciamo che in Italia sembra che non ci sia mai spazio per tutto contemporaneamente, il successo di un genere preclude possibilità ad un altro. Per me ci deve essere sempre massima libertà, ma non credo sia giusto per esempio abusare della parola artista, in questo momento sembra che tutta la musica che esce sia musica di qualità. Chiaramente le cose non stanno così, bisogna guardare più in profondità. Questo appiattimento è specchio del momento storico in cui viviamo. In questo grande cambiamento musicale italiano non è tutto da prendere per buono, non tutti sono bravi, non tutti sono artisti. In questo calderone sicuramente c’è chi porta avanti un discorso personale al di là di tutto quello che gli sta attorno. Questo conta per me, avere un proprio discorso da portare avanti, anche perché facendo così nei migliori casi si generano cose durature nel tempo. Il medio termine mi interessa poco. Quanto di quello prodotto negli ultimi anni supererà la prova del tempo? Sempre che abbia ancora senso porsi questa domanda!