AQUARAMA “Teleskop”
Fresh Yo! Label
Dopo “RIVA”, l’ottimo esordio del 2015, gli Aquarama, progetto nato a Firenze grazie all’incontro tra il polistrumentista Dario Bracaloni e il batterista e visual artist Gugliemo Torelli, arrivano al loro secondo lavoro con “Teleskop”. Lavoro che deve confermare quanto fatto di buono con il debutto, disco spontaneo cresciuto con il trascorrere dei mesi grazie anche al passaparola, oltre chiaramente alle ottime canzoni che lo componevano. Legato al concetto di lontano, ma non vi sto ad attaccare il pippone da cui parte tutto, ovvero quel lontano che deriva dal termine greco tèle-, “Teleskop” è, al contrario del suo predecessore, un disco molto più ragionato e studiato. C’è una ricerca, spesso riuscita, della perfetta canzone pop. Ne è esempio l’ottimo trittico con cui si apre il disco, dalla west-coastiana ‘Summer’s Gone’ al (primo) singolone tropical-pop ‘Bubble Gun’, fino al (secondo) singolone, ‘Lucky One’. Nella musica degli Aquarama e in questo loro secondo album ne esce sempre, con eleganza, il loro amore per certa musica francese – Nouvelle Vague, per esempio – per i suoni vintage a cavallo tra i ’60 e i ’70, per il tropicalismo e per l’afro-funk. Tutto in ordine sparso. C’è anche una strumentazione molto più ricca, sntetizzatori, marimba, pianoforte, percussioni, chitarra classica e tanto altro. Quel che conta è che “Teleskop” è nuovamente un lavoro centrato, di assoluto rilievo e rilassante. Molto rilassante.
ANDREA LASZLO DE SIMONE “Immensità”
42 Records
Andrea Laszlo De Simone è un fuoriclasse. Il cantautore, emerso ormai una decina di anni fa dalla scena underground torinese, aveva già trovato la chiave della sua di idea musicale con “Uomo donna”, suo disco del 2017. Un album assolutamente spiazzante da ogni punto di vista. Difficile, affascinante, con radici inserite tanto nel Battisti più complicato, quanto nel Tim Buckley italiano, ovvero Alan Sorrenti. In realtà anche Tim Buckley potrebbe essere l’Alan Sorrenti americano, ma non andiamo fuori tema. “Immensità” è un lavoro ancor più coraggioso. Vuoi per il formato – si tratta di un EP di quattro brani disponibile, per quanto riguarda il digitale, anche come unica suite (ascolto consigliatissimo) – vuoi per quanto mostrato negli arrangiamenti, totalmente anacronistici – vivaiddio – rispetto a quello che siamo soliti associare ad una buona parte di produzione cantautorale italiana. E se forse la scelta del formato, oggi che quasi più nessuno ascolta dischi interi, tanto coraggiosa non è, è la parte musicale quella più sorprendente. Perché ai due già citati eroi italiani e ad alcune soluzioni più moderne che possono ricordare addirittura Sufjan Stevens, “Immensità” lega il tocco personalissimo ed estremamente poetico e onirico di De Simone. Difficile scegliere uno dei quattro brani, innumerevoli sono le sfaccettature e i pregi di ognuno di essi. Ma il ticchettio inconfondibile della pioggia con cui si apre la conclusiva ‘Conchiglie’ ed i sette minuti attraverso i quali si sviluppa, sono veramente incredibili.
TAXIWARS “Artificial Horizon”
Sdban Ultra
Tom Barman, leader e cantante dei dEUS – siano sempre lodati – difficilmente fa cose brutte. Coadiuvato principalmente dal sassofonista Robin Verheyen, con l’aiuto anche del bassista Nicolas Thys e del batterista Antoine Pierre, lo ritroviamo qui nei TaxiWars, suo progetto in qualche modo jazzista – giusto per dare una geografia musicale – con il quale aveva già esordito nel 2016 con “Fever”. Che poi, già nei dEUS, di tracce jazz ce ne sono a bizzeffe, sin dall’esordio di “Worst Case Scenario” e soprattutto nel successivo in “A Bar Under the Sea”. Quelle atmosfere via via sono un po’ scomparse nei lavori successivi, ma è evidente che a Tom questa cosa non sia andata giù e che abbia ancora bisogno della sua valvola di sfogo. Giunge perfetto, quindi, “Artificial Horizon”, il nuovo album dei TaxiWars. Sempre crepuscolare e fumosa, la voce di Barman si integra alla perfezione al sassofono di Verheyen, trovando un insospettabile equilibrio tra art-rock, jazz, liricismo e poesia. Le parti sperimentali della prima uscita hanno trovato, in questa occasione, un giusto equilibrio, diventando magicamente più digeribili anche chi non mastica jazz quotidianamente – che poi ripetiamo, jazz sì ma niente di troppo virtuoso. C’è molto altro in “Artificial Horizon”, il trip-hop, archi sinuosi e orientaleggianti oltre a quella vena art-rock, già citata e da sempre nel DNA di Barman, ancora una volta bravissimo a maneggiare tanti generi musicali con classe innata.