Non si inizia mai una recensione di un film con il giudizio, ma stavolta bisogna derogare al decalogo del buon recensore perché Border, il nuovo film di Ali Abbasi, ci impone un accorato appello: andate a vederlo in sala, noleggiatelo o compratevi il dvd voi fan della settima arte, non rimarrete delusi. Sì perché quando ci si imbatte in pellicole così affascinanti, così seducenti l’istinto è sempre quello della condivisione.
Anche Tina, ispettrice doganale svedese con il sesto senso per le emozioni altrui, è sola al mondo nella sua diversità fino a quando non conosce Vore, uno che invece la sua diversità la vive come un vanto, ostentandola come un vessillo in reazione all’umanità che vive come minaccia costante. Anche Tina vuole condividere.
Un bel giorno, proprio durante un’ispezione alla dogana si conoscono, la loro vita si sconvolge inevitabilmente: Tina scopre che il suo essere non è unico ma può appartenere anche ad un’altra persona, Vore può finalmente smettere di scappare. Ma il loro ecosistema verrà ben presto minacciato dagli altri e da loro stessi.
Straordinaria allegoria dello straniero e delle implicazioni dell’essere diverso che non scade mai nella retorica o nel buonismo ma indaga, come se fosse una vera e propria ispezione doganale sul sentirsi altro, la primordiale essenza dei rapporti umani e disumani.
Abbasi sfrutta appieno la sua precedente incursione nell’horror per mostrarci, grazie ad un trucco stupefacente che è valso la candidatura agli Oscar, Tina e Vore in tutta la loro intrigante mostruosità riuscendo però, con una sceneggiatura asciutta e dalla tensione costante, a delineare due personaggi per certi versi diametralmente opposti per il loro modo di intendere il rapporto con l’umano.
Premio “Un certain regard” al Festival di Cannes 2018, Border, creature di confine entra di diritto nella collana di perle che questo 2019, fin qui promettente, ci sta regalando, non lasciatevelo scappare.