I toscani sanno benissimo che il miglior modo per evitare di bestemmiare è imprecare con responsabilità. Questo popolo coraggioso, non cade mai nell’ingiustificata mistificazione della realtà. Il toscano non scusa le proprie azioni considerandosi mero prodotto del divino o vittima del destino. Egli è ovviamente consapevole che ogni malevola circostanza non gli è certo capitata per causa sua e, per questo motivo, è cosa buona e giusta puntare il dito verso qualcos’altro di tangibile. Ed è in quel momento, che con grande lucentezza e raziocinio, il toscano incolpa ciò che di più indissolubile e consistente possa aprirsi davanti ai suoi occhi: la terra maiala.
Attenendosi all’esistente, maremma maiala diventa un’imprecazione estremamente versatile. È un termine entusiasmante che, non riferendosi alla religione, produce sul toscano lo stesso effetto eversivo di quando alle medie giustificavamo le assenze falsificando le firme dei nostri genitori: non è una bestemmia e perciò non può considerarsi tale, ma possiede comunque la capacità di produrre gli stessi effetti liberativi di quest’ultima. Per questo motivo, il toscano si avvale della facoltà di usare maremma maiala un po’ come vuole, sia all’inizio che alla fine dell’enunciato: se non offende nessuno, spalmarla in ogni dove è un dovere oltre che un sacrosanto diritto.
Maremma maiala è musica. La “m” rimbalza fra le due parole come un eco profondo, come una rima che si ripete di continuo. Maremma maiala è un dolce colle toscano, un saliscendi di voci corali, un’imprecazione con quattro consonanti uguali che vanno necessariamente interpretate in maniera esponenziale. E così, con 16 “m” pronunciate nello spazio di 13 lettere, maremma maiala fiorisce nel tempo di un urlo, fra la poesia di un suono e nella libertà di un insulto.