Testo e illustrazione di lafabricadibraccia

Venerdì 13 giugno al Firenze Rocks suoneranno i Korn e i Public Enemy. Due band gigantesche, storiche, fondamentali, imprescindibili, imperdibili. A me, però, di loro non frega niente.

Farò lo stesso la fila ai cancelli, sopporterò la paludosa calura che solo Firenze sa offrire al sopraggiungere dell’Estate e accetterò l’ennesimo sequestro di borraccia – che ostinatamente continuo a portarmi dietro scordandomi della sua potenziale micidialità – da parte dello zelante servizio d’ordine, per vedere altro gruppo.

I Soft Play. Mi gasano da morire!

Sono un duo inglese che sputa un punk rock super diretto e bello aggressivo. Isaac Holman, canta a squarciagola mentre, stando in piedi, pesta sui tamburi della sua batteria minimale. La chitarra è gestita da Laurie Vincent che spara dei riffoni giganteschi, mentre, a volte, ci intrattiene con il mandolino. Nonostante questo set up limitato i Soft Play riescono riempire il suono in un modo egregio e mai noioso. E su disco non cadono nell’odiosa tentazione di sovraincidere 12mila tracce per saturare le orecchie di chi ascolta e poi risultare sonoramente anoressici se visti dal vivo. (Questo lo affermo in virtù dei molti live che mi son goduto su yt da bravo nerd.)

Frugando nel web ho scoperto che i Soft Play, prima di chiamarsi così, erano conosciuti con il nome di Slaves. Era il 2015. Stesso genere, stessa formazione, nome diverso. E spesso quel nome è stato criticato da chi non è d’accordo che due uomini bianchi si definiscano schiavi. “Siamo tutti schiavi della vita moderna, del lavoro e del consumismo” rispondono loro e vanno avanti fino al 2019 dando alla luce tre dischi. Poi la la luce si spegne, la band si ferma. Isaac ha un esaurimento nervoso, Laurie perde la compagna. A volte la vita è proprio stronza.

Dopo tre anni decidono di ripartire. Ma hanno avuto molto tempo per pensare a tante cose e forse quel nome, “Slaves”, non li convince più. Forse non li ha mai davvero convinti, ma prima era più importante sembrare dei duri che ascoltare le critiche. Ma adesso è diverso, loro sono diversi. E si ribattezzano Soft Play.

Ora io personalmente non ci vedo niente di male nel nome Slaves, ma non ci vedo niente di male nella decisione di cambiarlo. Saranno cazzi loro no? La musica è la stessa, sono ritornati a suonare insieme, spaccano, forse, anche più di prima, siamo tuttə contentə no?!? No.

Esplode-ovviamente sull’internet- l’inquisizione. I Soft Play vengono accusati di aver tradito la scena, di non essere punk per di aver dato ascolto alle critiche sinistroidi e woke, di essere dei deboli e, inevitabilmente, delle femminucce. Io quando ho letto tutte queste cose, sono rimasto basito. Ma possibile che le persone non abbiano niente da fare di meglio che pontificare e criticare su un gruppo che cambia nome?

Evidentemente cambiare idea è qualcosa che spaventa molto.

E come rispondono i Soft Play a questa marea fecale che li inonda? Con un fottutissimo colpo di genio. Raccolgono tutti i messaggi infamanti che hanno ricevuto, ci scrivono il testo del brano “Punk’s Dead” e come ciliegina sulla torta c’è Robbie Williams che canta il ritornello.

Cosa ci può essere di più punk di questa reazione?

Solo tanti cuori per Isaac e Laurie!

Spero di avere incuriosito chi ha letto fino qua. E mi piace pensare che metterà a tutto volume “Punk’s Dead” canticchiando “Punk’s dead, pushing up daisies Come and get a load of these PC babies”.

 

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