di Ilaria Bandinelli e Fabio Ciancone
Era il 1994 quando le politiche di riduzione e prevenzione del danno furono incluse tra le politiche europee sulla droga, allo scopo di limitare la diffusione del virus HIV e l’uso di sostanze stupefacenti attraverso una metodologia sociale partecipata. Alla base di queste pratiche sta la creazione di uno spazio sicuro, in cui le persone non si sentano giudicate o discriminate nell’assunzione di droghe, bensì puntando alla tutela della salute della persona, offrendo punti di ascolto e accoglienza con personale specializzato, unità di strada, aiuto al personale sanitario e divulgazione attraverso spazi chill out. L’obiettivo è ridurre gli impatti negativi delle sostanze attraverso l’educazione responsabile al loro utilizzo. È in questo ambito che opera la cooperativa sociale CAT, costituitasi a Firenze nel 1985, con lo scopo di svolgere attività nel campo della prevenzione, dell’assistenza e del reinserimento sociale e lavorativo. La metodologia di base proposta è l’outreach, cioè portare il servizio in strada, accettando così il setting delle persone che si intende raggiungere. Abbiamo intervistato Stefano Bertoletti, responsabile del servizio di prevenzione e riduzione del danno di CAT.
Quanto è importante e perché è efficace fare prevenzione e riduzione del danno?
In un momento in cui le questioni relative al consumo di droghe sono affrontate dal governo su un piano molto ideologico, che porta a un regime di tolleranza zero e di distanza che si pone con i consumatori, la riduzione del danno avvicina maggiormente i consumatori a questioni che riguardano la loro salute e la loro vita. Un approccio che insiste sul no assoluto e tende a porre tutte le droghe sullo stesso piano allontana i consumatori da servizi essenziali per la loro salute.
Quali sono i servizi offerti dal centro Java e da UAN – Urban After Night e quali sono quelli più utilizzati dagli utenti?
Direi il servizio psicologico di supporto al consumo consapevole e alla riduzione dei rischi, molto incentrato sulla volontà della persona che si presenta da noi: è un servizio diverso rispetto a quello istituzionale, che mira direttamente all’interruzione o alla riduzione del consumo. Offriamo anche servizi legati all’espressione artistica e al dibattito culturale sul consumo di droghe, spesso molto attivo. UAN, la nostra chill out notturna, è uno spazio di ripresa e interruzione del ritmo frenetico del mondo della notte in città. Rappresentiamo un approdo importante per la città, soprattutto per le fasce giovanili. I nostri servizi lavorano in collegamento fra di loro con un approccio intermedio e informale rispetto a quello istituzionale.
Ci sono dei rischi a cui si sottopongono gli operatori e come sono formati?
I nostri operatori provengono da contesti diversi, più o meno afferenti ai servizi sociali. Cerchiamo di mettere in campo piani di formazione continua, aggiornamento e connessione con gruppi simili ai nostri in altre città. Ci sono oggettivamente situazioni in cui gli operatori si espongono a rischi, anche se non si percepisce molto il pericolo. Oggi, per via di un certo meccanismo di “costruzione” del pericolo, i rischi del nostro lavoro sono amplificati (pensiamo alla desertificazione delle città in certe fasce orarie). Se da un lato è vero che ci sono situazioni pericolose, cerchiamo di affrontarle tenendo presenti i principi di mediazione e di intervento per salvaguardare gli utenti. Tirarsi indietro non serve a nulla.
La criminalizzazione e la repressione dell’uso di droghe può peggiorare o ostacolare il consumo consapevole di sostanze?
L’apparato repressivo spinge alla sommersione di meccanismi ed episodi di consumo, rendendoli più pericolosi. Banalmente, a un rave party legale possiamo intervenire e prevenire eventuali danni, a una festa illegale o sommersa no. La sommersione comporta danni e ostacola il nostro supporto a ogni forma di consumo di sostanze.
In che modo le istituzioni possono supportarvi? Come collaborate?
Java è un progetto finanziato ad interim dal Comune di Firenze in modo convinto. Le istituzioni potrebbero esserci di maggior supporto, ad esempio collegando maggiormente contesti diversi o non marginalizzando alcune aree della città. Non servono soltanto “sicurezza” e “decoro”, ma anche integrazione e inclusione.