L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il significato di creatività e il ruolo dell’autore. Per comprendere questo cambio di paradigma abbiamo parlato con Francesco D’Isa, artista e filosofo fiorentino che da tempo esplora le potenzialità espressive di questi strumenti attraverso opere realizzate con le AI Text-To-Image. Nel suo ultimo saggio, La rivoluzione algoritmica delle immagini (Sossella Editore, maggio 2024), ne analizza i risvolti etici, sociali e lavorativi: «Lavoro con il digitale da più di vent’anni. Il mio interesse verso le AI emerge attorno al 2015, quando alcune ricerche mostrarono la capacità delle reti neurali di produrre immagini. Da allora ho sempre monitorato il tema, ma l’avvicinamento più diretto è avvenuto con la recente diffusione delle AI generative».
Nel tuo libro smonti i limiti estetici dell’arte creata con le AI. Autorialità, stile, strumenti, processi, sono questioni da sempre presenti nell’arte e dunque non-problemi che ne mascherano altri. Penso all’idea del sacrificio. Scrivere un prompt è l’equivalente odierno del tagliare una tela: può (davvero) farlo chiunque?
«La storia dell’arte ci ha insegnato che la capacità manuale non è un criterio necessario per la prassi artistica: l’opera coincide spesso con l’idea, che sembra istantanea, ma per maturarla è necessario un processo educativo e ideativo che porta l’artista a una “illuminazione” che può sembrare immediata. Inoltre, l’idea che l’uomo debba soffrire o che il lavoro richiede sofferenza è pregiudiziale, fondata su retaggi culturali che non condivido. Lavorare con le AI è tutt’altro che semplice. La scrittura del prompt è un processo che richiede creatività e attenzione e non è l’unico parametro con cui interagisce chi usa queste tecnologie: che sia facile lo sostiene chi non conosce queste tecnologie. Certo, volendo con le AI si può davvero fare una (brutta) immagine in un attimo e senza impegno, ma questo vale anche per la fotografia e il disegno».
Le AI, dici, ci mettono davanti alla nostra mediocrità estetica, producendo immagini kitsch e testi stucchevoli come rielaborazione statistica di tutto ciò che abbiamo già prodotto noi. Tendiamo dunque a sopravvalutare le nostre capacità creative?
«La media delle creazioni umane è per definizione mediocre. L’eccellenza è rara. Degli strumenti basati sulla statistica ci sbattono in faccia questa banalità, rendendo molto facile la riproduzione della mediocrità. Nel risponderti esaspero la tua domanda: tendiamo a sopravvalutare qualunque cosa sia opera dell’uomo, sminuendo invece le agentività non umane».
Il tema che infiamma gli animi però è la questione economica. Dal copyright sui data-set con cui si stanno formano le AI, al futuro del mestiere creativo, in competizione con uno strumento altamente efficiente. So che è un tema inestricabile qui, perciò ti chiedo: quando è stato commesso il peccato originale? Ci sono stati segnali di questa rivoluzione e delle sue implicazioni che abbiamo ignorato?
«Il peccato originale è stato credere che uno strumento da anni al servizio delle corporazioni sia di aiuto ai piccoli artisti, quando basta vedere la realtà economica pre-AI per capire che il copyright così come è normato non avvantaggia gli artisti ma le grandi aziende. In Occidente siamo individualisti e l’ossessione per il copyright ne è lo specchio, eppure è triviale accorgersi che ogni opera dell’ingegno è di fatto collettiva. Come diceva Deleuze, ciascun pittore riassume a modo suo la storia della pittura. Questa ossessione è portata all’estremo in certi artisti, che pur vivendo di (lecite) ispirazioni pensano che le “proprie” idee sono frutto del genio individuale. Con le AI il percorso sarà simile. Credo che sia necessario combattere perché le aziende che usano un bene pubblico (i nostri dati) restituiscano un bene almeno parzialmente pubblico, open source e trasparente. C’è però chi nella disperata lotta contro questa tecnologia chiede che sia necessario possedere i diritti per il training delle AI, avvantaggiando le multinazionali che li possono acquistare senza alcun guadagno per la maggioranza degli artisti, e con un futuro di software sempre più chiusi e costosi».
Crediti fotografici: Francesco D’Isa