di Arianna Armani e Fabio Ciancone

Sarà capitato a molte persone di imbattersi nell’immaginario delle arti marziali. Che sia cinematograficamente – con film come quelli che vedono protagonista Bruce Lee o versioni più contemporanee come Kill Bill – oppure per esperienza in ambito sportivo. In ognuno di questi casi le arti marziali ci appaiono come qualcosa di violento e allo stesso tempo estremamente elegante. Ad alcuni può anche essere nata la curiosità di iscriversi ad una palestra, o meglio dojo, in cui si praticano questo genere di arti.

Visitando il sito web o il profilo social di molte palestre di sport da combattimento, anche a Firenze, non è raro imbattersi in slogan motivazionali come “diventa un campione vero”, nomi dal vago sapore hobbesiano che descrivono, citiamo testualmente, “una situazione in cui l’essere umano è disposto a fare qualsiasi cosa pur di avere successo, indipendentemente dal fatto che le sue azioni possano danneggiare altri individui” – e tante, tantissime foto di uomini muscolosi, sudati, barbuti, vene in evidenza e profilo controluce che ne esalta le forme triangolari e romboidi. È evidente che un approccio di questo tipo sia respingente per chiunque sia vagamente lontano da una cultura della forza, del dominio e soprattutto della cura maniacale del fisico. Al contrario, le rappresentazioni femminili sui siti sono poche, minoritarie e raramente trasmettono un’idea di forza e prestanza fisica al pari di quelle maschili.

Bisogna scavare a fondo, poi, per trovare una qualsiasi forma di inclusività di genere: «La Muay Thai è divenuta oggi uno dei più duri e micidiali sport da ring per la quale occorre una grande preparazione, per rispettare una grande tradizione. Senza esclusione di colpi! […] offriamo però corsi per tutti: amatori e agonisti, uomini e donne, bambini e bambine». Quel “però” dice tutto.

Le idee più diffuse nell’immaginario sulle arti marziali sono legate al machismo e alla violenza, piuttosto che al miglioramento individuale o a una forma di attività fisica completa. Non è raro quindi, per una donna che pratichi arti marziali, sentirsi dire frasi come: «Ah, fai muay thai? Allora bisogna stare attenti!» oppure «Allora il tuo ragazzo non deve farti arrabbiare!», come se una persona che pratica sport da combattimento fosse automaticamente una bomba a orologeria, pronta a fare esplodere la propria violenza repressa nei confronti di chi le capita a tiro.

Il pregiudizio più diffuso sulle arti marziali è che sono sport da maschi. Ecco, allora, che intervengono anche i genitori, gli amici e gli istruttori a frenare le intenzioni di una ragazza che voglia praticare questo sport, mettendola in guardia, provando a dissuaderla o presumendo che si presenteranno per lei difficoltà insormontabili. Ad ogni modo, non giudichiamo un libro dalla copertina. È bene non scoraggiarsi, visitare di persona queste palestre e parlare con gli istruttori.

Infatti, contro le nostre aspettative iniziali, abbiamo visitato alcune palestre situate in diversi quartieri e tutti gli istruttori si sono rivelati accoglienti, senza il minimo accenno di discriminazione. Ci siamo rivolti soprattutto alle palestre dalla comunicazione più aggressiva e machista.

Al nostro ingresso nelle strutture abbiamo potuto assistere, con grande gioia, ad allenamenti di gruppi misti o interamente femminili, bambini che si allenavano insieme a persone più grandi – quando la disciplina lo permetteva – e climi che restituivano un senso di comunità. In ogni caso, i corsi sono aperti a tutti: uomini e donne, persone esperte e principianti. Gli istruttori ci hanno fornito le informazioni necessarie – come orari e prezzi dei corsi – con il massimo della gentilezza e professionalità, sia che davanti avessero un uomo o una donna, senza cercare di indirizzare l’uno o l’altra verso “corsi più adeguati”.

Insomma, una comunicazione completamente diversa da quella fatta online. Lo accogliamo come un dato positivo, ma siamo certi che, se non fosse stato per questo articolo, difficilmente ci saremmo avvicinati a questa dimensione, a meno di voler “mangiare” il nostro avversario.