di Eleonora Chiarugi

“Corri forte vanga, taglia la legna, scendi a valle, prega nel pavimento freddo”, si apre così, con un mantra profondo “Mondo e antimondo”, il concept album di Umberto Maria Giardini, che “nasce e si sviluppa sul concetto dell’incomunicabilità delle persone” e ci riporta alla profondità dell’animo umano attraverso elementi essenziali. Molte le collaborazioni all’interno dell’album, mischiati insieme nel brodo primordiale dell’antimondo.

Il 17 febbraio l’album sarà presentato in anteprima fiorentina al Glue, in viale Manfredo Fanti, e per l’occasione abbiamo scambiato due chiacchiere con il cantautore marchigiano. Qui l’intervista.

Il primo dicembre è uscito il tuo nuovo lavoro, “Mondo e Antimondo”, un concept album composto da dieci pezzi molto intensi fatti di essenza primordiale, di preghiere profonde verso la terra. Si muovono molte anime al suo interno, accompagnate dalla tua voce. La tua storia artistica è stata matura fin  da subito e già sapevi quale era il tuo orizzonte. Un lavoro non contaminato, come la tua carriera, senza compromessi. Per arrivare fino al tuo ultimo album, come hai modellato la materia del tuo lavoro? Da che base parte?

L’album, come sempre accade nei miei processi di pre-produzione di un nuovo lavoro, parte perlopiù dalla sala prove, dove spesso lavoro in solitudine ad alti volumi.

Le fasi sono molteplici e accompagnate sia dalla concentrazione che dall’applicazione che ricerca il suono, le dinamiche e altri elementi di scrittura che oramai mi appartengono. Uso lo stesso identico metodo da molti anni e funziona sempre. Successivamente arriva in sala la mia band e arrangiamo assieme quello che io ho abbozzato, fino a raggiungere la completezza del brano che è sempre ed esclusivamente strumentale. A quel punto subentra l’ultima fase che riguarda il cantato a cui lavoro da solo a casa. Anche in “Mondo e antimondo” il processo è stato identico.

Adesso sei ricoperto di una corteccia più spessa. Se pensiamo al te di “Nutriente” e al te di adesso percepiamo proprio questo cambiamento. Quali esigenze e urgenze sono cambiate nel tuo lavoro?

Urgenze direi nessuna, fondamentalmente sono cambiato io, poiché sono passati tantissimi anni dagli esordi di Moltheni. Quell’approccio era decisamente diverso, era un’altra epoca e francamente non la rimpiango più di tanto. Oggi mi sento molto più preparato sia tecnicamente che umanamente, non ho obbiettivi se non il solo scopo di produrre musica di alta qualità. Le cose con gli anni che passano inesorabili, inevitabilmente cambiano, bisogna accettare i cicli storici della nostra vita, perché questa è la vita.

Come nasce questo concept album? Oggi è sempre più difficile crearne uno…

Nasce e si sviluppa sul concetto “dell’incomunicabilità delle persone”. Il resto è una sorte di cornice fatta dalla musica che ho cercato, lavorato e ricamato attorno.

Cosa comporta l’arrivo del “Re”, il primo brano dell’album?

Comporta il cambiamento in atto della società civile del costume di ogni popolo. Tutto cambia, è il tempo che comanda non noi.

Da cosa nasce il titolo “Mondo e Antimondo”? E quali sono il tuo mondo e antimondo ideali?

Il titolo nasce dal presupposto che oggi tutto può essere il contrario di tutto. Non si possiede più la bussola per interpretare la giusta strada da percorrere, nei rapporti interpersonali, nel lavoro, nell’etica, nella morale e via dicendo. Qualsiasi cosa (o quasi..) viene fatta a “cazzo di cane” perché è esattamente questa la modalità in cui siamo direzionati oggi. Non esistono più eccellenze, anche dove apparentemente sembrerebbe; tutto è approssimato e di conseguenza tutto inevitabilmente poi fallisce. Il ruolo dell’essere umano è dipendente dalla rete, che detta e offusca sia la mente che il progressivo lavoro che la mente stessa un tempo faceva. Il risultato è scadente, esattamente come l’essere umano, oggi scadente.

Puoi raccontarci un aneddoto legato alla lavorazione dell’album? La registrazione è stata fatta in più studi e anche con diverse collaborazioni.

Non esistono aneddoti particolari da ricordare. Abbiamo lavorato in modo molto sereno e con tempi abbastanza programmati e precisi. Un brano è stato registrato in un’ altra location rispetto all’intero album, ma ciò non toglie che l’amalgama dell’intero lavoro è risultata perfetta ed equilibrata, senza sbavature. All’interno dell’album ci sono stati molti musicisti e comparse, ma tutti mischiati nel minestrone dell’antimondo in modalità mirata. Il risultato ci è subito apparso bellissimo.

Torniamo quasi all’inizio. Cos’è che ti ha portato ad alzarti dallo sgabello della batteria a comporre e scrivere?

È accaduto moltissimo tempo fa. È stato probabilmente un processo naturale visto che suonare la batteria come ruolo mi stava un po’ stretto. Quello che mi mancava non era di certo cantare, e stare lì davanti, ma la decisionalità delle persone con cui lavoravo era oggettivamente discutibile. Dovevo per forza di cose prendere in mano la situazione e decifrare un orizzonte percorribile; diversamente sarei rimasto a suonare come una band da garage e nulla più. Oggi come ieri, per lavorare non basta saper suonare uno strumento, occorre fermezza, molta passione e volontà, cose che non tutti possiedono.

Com’è stata la dimensione live che è ripartita da poco?

È tosta e dirompente. Chi assiste ai miei live comprenderà cosa intendo dire.

Non vediamo l’ora di vederti live anche a Firenze nella data del 17 febbraio al Glue e a questo punto ti chiediamo se puoi salutare i lettori di Lungarno.

Grazie mille, sabato ci divertiremo : )

 

Per informazioni sul live di sabato 17 febbraio al Glue: https://www.facebook.com/events/334473799455259

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