di Alessia Dulbecco

Gennaio è da sempre il mese dei “buoni propositi”, quello in cui decidiamo di provare a uscire dalla nostra zona di comfort confrontandoci con attività che magari abbiamo rimandato per tutti i dodici mesi precedenti. Questo pezzo vuole essere pertanto un incentivo a coloro che decideranno di includere, tra i buoni propositi del 2024, quello di avvicinarsi un po’ al femminismo, una parola spesso usata come un insulto, bollata come “divisiva” quando in realtà è tutto il contrario.

Per provare a ristabilire un’immagine più fedele del suo contributo credo si renda necessario partire dai concetti di base. Il primo, è che, come ricorda il filosofo Lorenzo Gasparrini in Perché il femminismo serve anche agli uomini (Eris), «i femminismi sono pratiche di libertà». Con quest’espressione intende dirci che la loro funzione è quella di smontare i meccanismi oppressivi propri della cultura sociale in cui siamo immersi, per il benessere di tutte e tutti. Insomma, il femminismo non è l’opposto del maschilismo, non chiede ai due generi di posizionarsi in opposte fazioni ma, al contrario, di collaborare, per decostruire gli stereotipi che creano la disparità. Uno, molto comune, è ad esempio quello di credere che sia “normale” per l’uomo, più che per la donna, avere successo nel lavoro.

In realtà è solo uno stereotipo di genere che produce però effetti concreti: secondo i dati ISTAT, in Italia, solo una donna su due ha un impiego. Un altro punto chiave delle teorie femministe è quello di intersezionalità, indispensabile perché ci ricorda che ogni persona vive molteplici discriminazioni sulla propria pelle – legate all’etnia, alla classe sociale, a eventuali disabilità ecc. – e che queste influenzano la sua esperienza del mondo.

Ci sono tanti modi per fare esperienza del femminismo, uno indubbiamente è attraverso la lettura. Un testo indispensabile è, a mio parere, La volontà di cambiare di bell hooks (il Saggiatore). In esso la celebre autrice statunitense riflette sull’educazione dei maschi e su quanto sia necessario che il cambiamento parta da loro, per liberarsi da quelle gabbie che li opprimono e li rendono responsabili delle violenze agite.

Non solo saggistica, ma anche fumetti: Bastava chiedere (Laterza), dell’illustratrice francese Emma, racconta dieci storie di “sessismo quotidiano” – dal peso invisibile delle responsabilità domestiche e organizzative che grava principalmente sulle donne, alla disparità nei luoghi di lavoro – che risulteranno familiari a tantissime donne.

Anche i podcast possono essere un’occasione per imparare e conoscere più da vicino gli studi di genere. Consiglio in particolare Anticorpi, condotto dalla giornalista Jennifer Guerra, in cui in ogni puntata affronta un tema – dalla storia del movimento al femminismo cyborg – attraverso le voci dei/lle protagonisti/e.

C’è poi un altro modo che abbiamo per formarci: prestare una nuova attenzione alle storie delle tante donne – artiste, letterate, scienziate, sportive – che per troppo tempo sono state raccontate in una prospettiva che ne sminuiva il loro valore. Per questo non posso che suggerire un altro podcast, Morgana, in cui Michela Murgia e Chiara Tagliaferri sono riuscite in un’impresa non scontata: narrare il genere femminile fuori dagli stereotipi.

Questi suggerimenti risulteranno parziali e sicuramente non sufficienti per capire la portata e il valore degli studi di genere: il mio consiglio, in definitiva, è quello di abbassare le barriere, farsi ispirare da queste o da altre fonti che potreste aver incontrato per caso, cercando un po’ di musica online, un film in streaming o un libro in libreria. Per me, il femminismo è stato scoperta: mi auguro possa essere qualcosa di simile anche per voi.