Lettera alla redazione:

Cominciai a capire che la vita e la forma avevano una relazione stretta”, Giovanni Michelucci.

(…) È da un po’ che lo sguardo appena entro nella stazione di Firenze Santa Maria Novella non è più rivolto in alto, verso i tabelloni dei treni in partenza e in arrivo che fanno a tutti stirare il collo, bensì cade sul pavimento. Non c’è possibilità alcuna per un viaggiatore che si imbatte nella stazione di SMN di potersi sedere. Lo spazio dell’attesa sparisce, la panchina come oggetto viene messa in secondo piano e le persone sembrano non accorgersene perché troppo abituate a potersi sedere solo consumando qualcosa in bar e ristoranti (…). Per leggere, come per pensare o ascoltare, alle volte si ha solo bisogno di uno spazio creato al meglio per rendere piacevole un’attesa, un saluto o un arrivo. Non è perdita di tempo ma riconquista del tempo

Cordiali saluti, Sofia Bracciani

Tra le parole più usate e abusate sui nostri giornali ci sono senz’altro “movida” e “degrado”. Gli altri due termini più ricorrenti, che starebbero a indicare la soluzione politica, sono invece “decoro” e “riqualificazione”. Uno dei luoghi di Firenze che più negli ultimi anni è cambiato – a colpi di riqualificazione, appunto – è stata la stazione di Firenze Santa Maria Novella. Il sottopasso è a poco a poco diventato una galleria commerciale e i negozi di anno in anno crescono, in ogni angolo. È stato anche creato un bel parcheggio coperto per le biciclette, ma chi si trovasse a emergere in superficie in sella alle due ruote resterà deluso al non trovare una pista ciclabile per raggiungere la propria meta, ma uno zig-zag di marciapiedi, corsie dei taxi e binari tranviari. Poi sono arrivare le barriere di fronte ai binari, installate con la scusa passe-partout della sicurezza. Senza spendere troppo tempo nel giudicare i funzionari chiamati a controllare gli accessi ai varchi (che non solo non controllano i potenziali possessori di bombe, ma neppure i biglietti, regolando gli afflussi con rapidi cenni di capo), chiunque abbia frequentato una grande stazione italiana sa bene che le barriere non garantiscono sicurezza. Anzi, dovesse accadere un patatrac su un treno in arrivo o in partenza, le pareti, sebbene trasparenti, sarebbero solo un ostacolo per i soccorsi e per quanti dovrebbero mettersi in salvo.

Le barriere, senza girarci intorno, servono a marcare due spazi, e non importa aver studiato architettura, storia, politica, sociologia o filosofia per capire che i muri dividono, e non sono mai una soluzione. A ragionarci, risulta evidente che il problema vero non era il terrorismo, ma il decoro: la stazione era casa di senzatetto e mendicanti, e anche se è brutto da dire, l’intento di fondo era evidente: quelle persone in stazione non ci dovevano stare. Altra soluzione sempreverde? Marginalizzare e criminalizzare i poveri, anziché combattere la povertà. Un altro posto lo troveranno, e se non li vedremo più, beh: problema risolto. La stazione è un luogo in cui si arriva correndo, barriere permettendo, da cui si passa in fretta, si consumano beni e servizi, e poi via. Se il treno è in ritardo – superfluo ricordare che non è affatto infrequente – si attende in piedi, perché gli spazi per l’attesa, come ricorda la lettrice, non ci sono. Le pochissime sedute della sala d’aspetto sono un fulgido esempio di architettura ostile, pensate per prevenire il riposo di chi ne ha bisogno. C’è però la sala Freccia Lounge, riservata ai possessori di CartaFreccia Oro o Platino. Molto di classe, in tutti i sensi. Sarebbe assurdo ridurre la questione a un fenomeno fiorentino, e non riconoscere una tendenza ben più ampia, però le politiche attorno alla stazione sono perfettamente in linea con quelle che hanno investito la città negli ultimi anni ad ogni livello. Le solite diatribe: decoro o degrado, spazio pubblico o spazio in affitto, spazio libero o spazio del commercio, turisti o cittadini, persone o consumatori. Non è sempre la stessa storia? Una città estetica o una città etica, una città vera o una città falsa. La lettrice che ci scrive ha aperto con una citazione del grande architetto pistoiese che negli anni ’30 era a capo del progetto della Stazione.

Rispondo e concludo con un’altra frase di Michelucci, che sembra scritta oggi: “Perché chi si occupa del turismo non rinuncia a disgustare il viaggiatore col fargli vedere certi monumenti celebri sotto aspetti falsi, cioè in una luce falsa? Per chi vuole vedere soltanto per dire ‘ho visto’, tanto vale un illuminatissimo luna park che un mortificato Palazzo Vecchio circonfuso da una luce da varietà”.