di Asia Neri

Our generation è la retrospettiva dedicata al racconto fotografico di Sara Lorusso che, proprio in occasione del Pride Month 2022, celebra la vita relazionale della comunità LGBTQIA+. La mostra, curata da Marcella Piccinni, inaugurerà giovedì 23 giugno 2022, dalle ore 19.00, presso gli spazi del The Student Hotel di Firenze alla presenza della giovane artista bolognese.
Sara Lorusso, classe 1995, ha intrapreso un percorso artistico volto allo sradicamento dei tabù riguardanti il discorso sul corpo, sull’identità di genere e sull’identità sessuale. I suoi scatti, rigorosamente in analogico, veicolano un messaggio inclusivo servendosi di un’espressività amica dell’intimo umano e di un approccio radicale nel perseguire la propria mission.

Love is love

Our generation raccoglie tre dei suoi principali progetti fotografici. Il primo è Love is love, una presa di posizione contro l’omotransfobia che, nel ritrarre coppie LGBT, invita il pubblico ad accedere a una zona intima, privata e spontanea della vita relazionale. Love is love è un manifesto dell’amore ed è l’amore che si manifesta nella sua totale libertà espressiva. Ogni scatto racchiudere il carattere universale e intergenerazionale di un movimento che lotta per la naturalizzazione dei numerosi modi di manifestare il proprio orientamento sessuale. Sara Lorusso sottolinea come ogni inclinazione non si configuri come deviazione rispetto al paradigma eteronormativo, piuttosto come una delle possibili alternative, da riconoscere in modo paritario sul piano dei diritti civili e della dignità umana.

Protect love and lovers

Nel tempo, il progetto Love is love si è trasformato, servendosi di altri linguaggi; nasce così la sua estensione performativa, intitolata Protect love and lovers. In questo lavoro – ancora allo stato di work in progress – Sara Lorusso ha chiesto a coppie di amici e conoscenti di baciarsi in un luogo a loro caro affettivamente, prediligendo gli spazi aperti, le strade e le piazze della propria città. La performance intende rivendicare la legittimità nel manifestare il proprio amore in pubblico attraverso la gestualità del bacio. Il bacio diviene analogia del bivio tra emancipazione de iure e de facto: unione e ribellione, abitudine e lotta, libertà e paura sono i binomi sottesi a questo processo di naturalizzazione che, ancora oggi, viene osservato da molti con diffidenza e dogmatismo.

My generation

My generation è il terzo progetto raccolto nell’esposizione, un’indagine sui concetti di femminilità e mascolinità e sulla loro interpretabilità in quanto costrutti estetici e sociali. Perché ci imbarazza non riconoscere l’identità di genere di un individuo? Perché proviamo disorientamento in assenza di categorie chiaramente definite? Quanto diamo per scontato il nostro modo di vestirci, mostrarci e identificarci in un determinato paradigma? E, soprattutto, perché valutiamo con diffidenza tutto ciò che non rientra i quei canoni?
In un’epoca satura di immagini, essere capaci di distinguere realtà e rappresentazione della realtà è un’operazione più che mai impegnativa. Inserzioni, pubblicità, GIF, video, meme e chi più ne ha più ne metta: ogni giorno fruiamo un numero spropositato di immagini che non riusciremmo nemmeno a contare, figuriamoci a ricordare. Quante di queste ci ricordiamo? Quante ci comunicano qualcosa? Il contenuto visivo proposto da Sara Lorusso è invece difficile da rimuovere; con Our generation, l’artista ci racconta una società che cambia e che si rinnova con una sensibilità decisamente personale e densa di significati. La sua urgenza ci trasferisce un interrogativo collettivo, che non ammette esoneri. Chi siamo e chi ci dicono di essere?

Protect love & Lovers
Protect love & Lovers

L’intervista a Sara Lorusso

Ciao Sara, ci daresti un quadro completo di ‘Our generation’ approfondendo i tre progetti fotografici esposti? Come sono nati? Quali istanze e quali risposte sottoponi alla coscienza del pubblico?

Love is love
nasce nel 2019 ed è il primo dei tre su cui ho iniziato a lavorare. L’indagine sulla tematica dell’amore legata alle coppie LGBT ha preso avvio fotografando alcune coppie di amici e amiche. Nel fare ingresso all’intento della loro zona di intimità, mi sono sentita accolta all’interno di un qualcosa di più grande, una comunità. Con il progetto My generation invece ho iniziato a scattare foto a persone queer o a individui che non si identificano nel canone estetico ‘uomo’ che spesso si lega alla mascolinità o a una serie di atteggiamenti atti a mascherare la propria sensibilità. Con Protect love and lovers invece ho iniziato a chiedere alle coppie che incontravo di baciarsi in alcuni luoghi importanti per loro a livello affettivo. L’ho fatto perché volevo rispondere a un certo tipo di preconcetto, al un tabù che si sente spesso dire in giro: “fatelo pure, ma in casa vostra”.

Da cosa nasce l’urgenza di raccontare la vita relazionale della comunità LGBTQIA+? Che tipo di rapporto hai instaurato con le persone ritratte nei tuoi scatti?

L’urgenza di raccontare tutto questo nasce un po’ per caso, è divenuta un bisogno solo in un secondo momento. Avevo intorno a me molte persone interessate da queste tematiche e, dopo il mio coming out in quanto persona bisessuale e demisessuale, questa ricerca è divenuta molto più importante anche a livello personale. Anche le persone che ho incontrato sono diventate importanti per me, alcune erano già amiche e conoscenti, altre invece hanno risposto alle mie call tramite i social e, successivamente, siamo rimaste in contatto.

Il tuo lavoro veicola un messaggio di forte inclusione, toccando l’umano, il sociale, i diritti civili e la rappresentazione della propria identità. Definiresti la tua ricerca fotografica politica?

Mi fa sempre piacere quando viene associato il termine ‘politico’ al mio lavoro poiché ritengo che assuma una connotazione politica nel momento in cui le tematiche che tocco sono carenti in termini di parità, diritti e dignità. Insomma, ogni tema assume un valore politico nel momento in cui il racconto rileva l’esistenza di dinamiche non eque, di rapporti di subordinazione. Ricordo ancora quando una ragazza che avevo fotografato mi raccontò che la madre non accettava che fosse lesbica ma, dopo aver visto gli scatti che avevamo realizzato insieme, aveva iniziato a guardarla con occhi diversi. Questo esempio testimonia il fatto che alcune foto, nella loro delicatezza e intimità, hanno il potere di rendere naturale la manifestazione di una certa identità sessuale, di sentirsi liberi senza provare vergogna.


Visitando il tuo profilo Instagram, ho notato che condividi molti dei tuoi progetti fotografici. Ti è mai capitato di subire atti di censura da parte dei gestori dei social network? Cosa ne pensi di questo tipo di controllo?

Si, ho dovuto affrontare la censura nel mondo online, dove condivido molto del mio lavoro. Spesso le mie immagini vengono censurate per ‘atti osceni o nudità’. Non capisco come l’arte sia ancora così lontana dal riconoscimento delle giuste tutele su piattaforme social, come Instagram ad esempio. Gli artisti si vedono troppo spesso costretti a svuotare di significato le proprie immagini per evitare di subire la censura. Purtroppo non mi è accaduto solo online, ma anche offline. Lo scorso anno mi hanno invitata a realizzare una mostra per le strade di una città vicino Bologna e, per l’occasione, avevo scelto di esporre il progetto Love is love. Nonostante le immagini fossero già state approvate, poco prima della stampa e pochi giorni prima dell’esposizione, mi viene comunicato che il progetto non poteva più essere esposto per le strade per una decisione interna del Comune in questione. Successivamente, come era giusto e ovvio che fosse, ho rifiutato di esporre in qualunque altro luogo al chiuso della città che mi fu proposto. Chiesi anche un incontro con il sindaco che non mi è mai stato rilasciato. Rimango molto amareggiata da certe situazioni, soprattutto perché supportare la comunità LGBTQIA+ ormai è diventata una moda, una questione di facciata…ma quando si tratta di schierarsi pubblicamente a nome di un’intera Amministrazione Comunale ci si tira indietro perché è troppo rischioso.