Lungarno è un mensile. In epoca di informazione istantanea ha il pregio, credo, di poter osservare le cose alla giusta distanza. Non inseguire il fatto del giorno è un dono prezioso, che salva dall’isteria e tutela il senso della proporzione. E alla nostra città il senso della misura ogni tanto manca. Parliamo di guerra in Europa, la più atroce da decenni. Mentre dall’Ucraina giungevano notizie di bombardamenti su ospedali pediatrici, di morti tra i civili e di milioni di persone in fuga, la settimana tra il 7 e il 13 marzo ha mostrato il meglio e il peggio di Firenze, che si proclama città della pace e del dialogo.
Guardiamoci dall’alto, a distanza di poche settimane, rileggiamo i titoli dei giornali. Lo scorso 7 marzo il sindaco ha coperto il David in segno di lutto. La foto, come si dice in questi casi, ha fatto il giro del mondo. Poi è tornata a casa, sui media locali. L’8 marzo il direttore degli Uffizi, Eike Schimdt, ha affermato che Nardella aveva sbagliato, perché non è così che si tratta il patrimonio. Il sindaco ha risposto che Schmidt dovrebbe pensare alle gru che stanno lì da vent’anni. È polemica.
Quello stesso giorno, a 700 metri di distanza, al Museo Novecento, il direttore Risaliti listava di nero un’opera di Virgilio Guidi, e ha annunciato di voler marchiare a lutto altre opere, una ogni settimana. Sempre sul pezzo anche Vaclav Pisvejc, definito dai giornali come “sedicente artista” di origine ceca, già noto alle cronache per aver bombolettato l’opera di Urs Fischer e aver aggredito Marina Abramovich con un quadro finto (c’è anche altro, ma non divaghiamo): stavolta ha deciso di verniciare di giallo-azzurro il leone di Francesco Vezzoli, l’installazione temporanea promossa dal Museo Novecento che troneggia in Piazza Signoria. Poi, nonostante la denuncia, Pisvejc dopo pochi giorni è tornato sul luogo del delitto, in piazza, decidendo di risolvere il dibattito sul David velato dando fuoco al drappo nero. È polemica.
Va ricordare, sempre in materia di statue, la difesa del sindaco verso quelle degli scrittori russi, in particolare il Dostoevskij che sta alle Cascine. Anche se “qualcuno” non meglio identificato gli ha chiesto di tirarle giù, lui ha voluto far sapere di essersi opposto. Fine del riassunto.
Chissà che ne pensano a Kiev, città gemellata con Firenze. Firenze ha un problema coi propri simboli (dal greco symballo, “tenere insieme”). Anche quando è animata dai migliori propositi finisce con lo specchiarsi in sé stessa, perché le individualità si scontrano, e la pace proclamata è pretesto per il battibecco. Ovvio che gli atti simbolici hanno valore simbolico, nessuno è così scemo da pensare che Putin decida di ritirare le truppe di fronte a una statua più o meno coperta. Ma quantomeno evitare di rendersi ridicoli di fronte alla storia può essere un buon obiettivo. E guardiamo ora al meglio di Firenze, la manifestazione di sabato 13 marzo. Lanciata da Nardella in qualità di presidente di Eurocities, ha contato circa 200 adesioni in tutta Europa. In Piazza Santa Croce secondo gli organizzatori si sono radunate 20mila persone. Forse meno, ma la piazza vista dall’alto toglieva il fiato. È stato un momento importante. E ci tengo a precisarlo, io non amo le manifestazioni. Mi infastidiscono le bandiere dei partiti, gli slogan, la retorica, gli applausi, mi danno fastidio le canzoni. Eppure, Firenze era bella davvero.
Perché al di là degli interventi sul palco, del collegamento di Zelensky, delle esperienze dei sindaci, del tentativo di complessità che la folla non riesce ad esprimere, essere in piazza significa una cosa: mettere da parte l’ego e farsi massa. Veniamo da due anni di pandemia contraddistinti dall’annullamento della vita pubblica e dal richiamo alle responsabilità individuali e alle colpe dei singoli. Abbiamo trattenuto la paura e la rabbia chiusi in casa, a giudicare i comportamenti degli altri, a sfogarsi online. Ecco a cosa servono le manifestazioni per la pace: a farsi simili, a mischiarsi nella folla, ad evitare per una volta di voler manifestare ad ogni costo l’originalità del pensiero ed esserci davvero, insieme agli altri. La manifestazione del 13 marzo (come tutte le altre) non ha risolto nulla. È stata inutile perché non ha fermato i carri armati.
Però è servita a contarsi, a riconoscersi. I fiorentini sono bravi a dividersi, anche sul David. Ma quando si uniscono così è bene sottolinearlo. La guerra non è finita, è vero, ma io la gente in piazza l’ho vista. Ho comunque paura, ma so su cosa poter contare, perché mi sento meno solo.