Una delle tante possibili biografie di Giovanni Fontana, nato a Firenze nel 1983, la si trova in calce ad alcuni suoi articoli sul sito di narrazione sportiva Ultimouomo: “ha studiato lettere in Italia e relazioni internazionali in Inghilterra. Ha discusso la tesi italiana con indosso la maglia di Batistuta. Quella inglese non si discute, come Batistuta del resto”. Si tratta di una versione possibile, ma sicuramente parziale. Giovanni Fontana è davvero nato a Firenze, educato da uno zio al tifo per la Fiorentina. Poi è cresciuto a Roma, cercando di capire cosa gli interessasse fare. Da bambino scriveva poesie (il suo testo più bello, sostiene, lo ha scritto a nove anni), alle medie andava forte coi numeri, alla fine a spuntarla sono state le discipline umanistiche.
Nel 2006 si laurea con lode in Filologia romanza alla Sapienza, sfidando la sacralità accademica e indossando la maglia viola di fronte alla commissione. Lo zio tifoso, orgoglioso, ci tenne a informare la stampa fiorentina, e quella storia finì sui giornali. Ma anche questa traiettoria è solo una delle tante possibili. Giovanni capisce che la carriera accademica che gli si prospetta non è ciò che vuole.
Allora fa moltissime altre cose, coltiva collaborazioni, relazioni, scrive per giornali e riviste. A 25 anni parte come volontario nei campi profughi della Palestina, dove resterà quasi 7 mesi. Racconta la sua esperienza sul suo blog, distantisaluti.com. È zeppo di testimonianze e racconti, commoventi e rigorosi, divertenti e lucidi, ed è anche un buon modo per ricordarsi come si può abitare Internet. I suoi articoli sulla Palestina compaiono su varie testate, da L’Unità a Limes. Tornato a casa continua a scrivere e a raccontare. Ficcare il naso nella sua storia lascia la sensazione che tracciare una linea dritta sia impossibile: nell’estate del 2009 in Piazza del Popolo a Roma allestisce un banchetto con scritto “Parlo con chiunque di qualunque cosa”; alla fine dello stesso anno va in Burkina Faso per organizzare un incontro sul tema delle mutilazioni genitali femminili.
Nel 2010 vola a Londra, per la seconda laurea, stavolta in Relazioni Internazionali. Qua la trama, vista da fuori, sembra assumere finalmente un senso: si rende conto che le sue esperienze umanitarie hanno bisogno di una struttura, di una competenza che ancora non possiede. Sembra voler dire: adesso devo imparare a far davvero bene una cosa. In rete si trovano molti articoli che Fontana ha scritto tra il 2010 e il 2015. Scrive di Medioriente, di diritti, di politica. Su ilPost.it ce ne sono di molto belli.
Nel mezzo, ovviamente, ci sono cose invisibili: gli affetti, le amicizie, gli amori. Certo, si trova traccia anche di qualche deviazione bizzarra: nel 2015 risulta “Campione italiano di sputo del nocciolo”, titolo conquistato durante la Festa della Ciliegia di Celleno, in provincia di Viterbo. Sembra una storia fuoriuscita da “Big Fish”, ma pare sia vera. È il percorso di uno spirito irrequieto.
Arriviamo così alla primavera del 2016, quando molti fili – la Palestina, il Burkina Faso, Londra – convergono verso una nuova missione. Giovanni Fontana decide di partire di nuovo e andare in Grecia, nei campi profughi dove stanno arrivando migliaia di persone in fuga dall’ISIS. Organizza una raccolta fondi online, arrivano donazioni spontanee e parte volontario per Ioannina, nell’Epiro, nel nord della Grecia. Il campo di Katsika è uno dei campi più disastrati d’Europa. Sembra il punto di incontro di ogni problema gestionale, antropico e meteorologico. È un disastro umanitario, ma anche organizzativo.
Nel 2017, assieme ad altri tre dei volontari decide di fondare una ONG. Avere una struttura formale diventa fondamentale per lavorare con le istituzioni locali, per essere riconoscibili, per avere relazioni con le organizzazioni più grandi. Il nome Second Tree viene da un proverbio africano: “Il miglior momento per piantare un albero era vent’anni fa; il secondo miglior momento è ora”. Online si trovano molti racconti dettagliati sulle loro attività, e anche storie che testimoniano perché una piccola organizzazione riesca a fare cose molto diverse dalle grandi ONG. In sintesi, potremmo dire che Second Tree inverte il paradigma classico: il motto è che “i profughi sono persone”. Esseri umani, senza etichetta. Non vanno trattati con superiorità, né con condiscendenza. Non vanno stereotipati, né romanticizzati.
Giovanni racconta di essere diventato senza volerlo un punto di riferimento all’interno del campo. Lui sostiene che “è solo perché ho proposto di fare delle tabelle Excel per organizzare i turni”, ma c’entra sicuramente il carisma naturale. Quel che è importante, ad ogni modo, è che quel luogo così inospitale si trasformerà in un’esperienza di convivenza leale, un nuovo modello di fare accoglienza. La prassi delle grandi ONG vuole che i volontari non abbiano contatti con le persone che vivono nei campi. Sono realtà con ampie risorse e meriti, ma hanno dei metodi istituzionalizzati che “disumanizzano il mondo umanitario”. Non si deve fraternizzare, stabilire relazioni intime. Giovanni apprezza il loro lavoro, capisce il senso di quell’approccio. Ma la pensa diversamente.
È possibile essere buoni e autorevoli allo stesso tempo. Tradotto: discutere con rispetto, dare nomi ai volti, imparare le storie, giocare a calcio, gioire delle fortune, veder nascere un amore, o una bambina, augurarsi buona fortuna, abbracciarsi al momento della partenza dal campo. Non c’è ingenuità – tutt’altro – ma una consapevolezza diversa. I profughi che nel tempo arrivano a Katsika provengono dai luoghi più disparati. Sono yazidi, siriani, curdi, afghani. Le difficoltà per Second Tree sono state enormi. In primis quelle economiche, ma anche quelle umane. Nella sua breve vita si è trovata costretta a porsi domande importanti sulla sostenibilità della propria azione, sul lavoro sfiancante ai limiti del burnout, sulla gestione degli aiuti, sulle condizioni e sul trattamento da riservare ai volontari.
Il lavoro da fare ogni giorno è enorme, e va dalle azioni più banali alle alte relazioni istituzionali. Second Tree offre programmi di istruzione, corsi di lingua greca e inglese, attività educative per i bambini e i ragazzi. L’organizzazione è partita con poco, ed è cresciuta nel tempo. Ha già aiutato migliaia di persone, uomini, donne, bambini e bambine. Nonostante il ritmo di lavoro, Giovanni dice “per la prima volta mi sento in pace”. Oggi Second Tree, un po’ come Giovanni, è in una nuova fase. Potremmo definirla di maturità, ma chissà se ha senso. Giovanni, mentre ci parlo, si trova a Palermo. Negli ultimi mesi si sta confrontando con associazioni, volontari, network di cooperazione. Sta anche lavorando a un documentario, per raccontare le storie dei primi profughi che ha incontrato a Katsika e che oggi hanno una nuova vita in Europa.
La maglia di Batistuta, quella della laurea, ha viaggiato molto, ma in Grecia non è mai arrivata. È come un vestito buono per Giovanni, da indossare quando si è di fronte a un passaggio importante. Dopo la laurea l’ha prestata a un amico, il giornalista Francesco Costa, che l’ha indossata per inaugurare ilpost.it. Poi l’ha ripresa nel 2016, prima di partire per la Grecia. Tornato a Roma, ha stipato l’auto di vestiti e materiale utile da portare a Katsika. Era il 14 aprile e guidava verso sud con il 9 viola sulle spalle. Batistuta, che di tutto questo non sapeva niente, quello stesso giorno dichiarava ai media argentini che avrebbe voluto rientrare nel mondo del calcio, magari a Firenze, ma aveva paura di deludere i suoi vecchi tifosi. Giovanni sulla via del traghetto si è fermato a Napoli, dove aveva abitato un tempo, assieme a Giulia, per tanti anni la sua compagna. La maglia l’ha lasciata a lei, il mattino prima di imbarcarsi, ma non sa dirmi oggi che fine abbia fatto. Allora ho contattato Giulia: la maglia l’ha conservata, e dopo vari traslochi è ritornata in Toscana, vicino Pistoia, e chissà poi. “Mi raccomando”, mi ha scritto lei: “scrivi tante cose belle per poterlo aiutare”. Se volete aiutarlo anche voi: www.secondtree.org.