Esserci o non esserci, è stato comunque un problema. 20 anni fa, luglio 2021, i leader del G8 si riuniscono a Genova. In parallelo il Genova “World Social Forum”, espressione di un movimento globale per una globalizzazione alternativa, di critica al neoliberismo, per uno sviluppo sostenibile. Espressione variegata e non priva di contraddizioni di una società civile internazionale unita dallo slogan “un altro mondo è possibile”.

I fatti sono noti. Mentre i capi degli 8 Paesi si incontravano nel cuore della città, trasformato in “zona rossa”, centinaia di migliaia di persone si radunarono per le strade e le piazze del capoluogo ligure. Lo striscione di apertura del corteo recitava “Voi G8, noi 6 miliardi”.

Piazze tematiche, incontri, manifestazioni. Poi il caos: “Avevo 19 anni, era l’estate dopo la maturità. Partii con un amico, senza dirlo ai miei genitori. C’era molta preoccupazione, ma sentivo di doverci essere”, racconta a distanza di un ventennio Daniele Bianchini, che oggi è giornalista, direttore di Novaradio Città Futura. “Mi resi conto che eravamo impreparati ad affrontare quella situazione”: il pomeriggio del 20 giugno Bianchini si trovò quasi per caso nel cuore di piazza Manin, tra canti e balli, i pacifisti della rete Lilliput e i mercatini del commercio equo-solidale. “Ricordo poi l’arrivo del Blocco Nero, suonavano tamburi, come in una marcia”

La ricostruzione di quel giorno è stata oggetto di indagini e processi, oltreché di libri, film e documentari. I Black Block si diressero verso il Carcere di Marassi, dove la polizia non intervenne. Le cariche arrivarono più tardi proprio in piazza Manin, dove i pacifisti furono picchiati. “Io non presi le botte, ma ricordo i lacrimogeni, i tentativi di fuga. Gli oggetti del mercatino rovesciati a terra”. Poi la corsa in una via laterale, il tentativo di trovare l’orientamento. Daniele e l’amico incrociano attivisti in marcia, si uniscono a un gruppo e seguono il flusso. “Eravamo spaventati”. Poco dopo i carabinieri caricarono (senza autorizzazione) il corteo delle Tute Bianche (autorizzato) che sfilava in via Tolemaide. Dopo la carica, la ritirata disordinata. Via Caffa, Piazza Alimonda. I colpi di pistola del 20enne ausiliario Placanica a un altro ventenne, Carlo Giuliani.

Bianchini e l’amico raggiungono lo Stadio Carlini, una delle aree di accoglienza per i manifestanti. Inizia a circolare la notizia di un ragazzo ucciso. Forse uno spagnolo, forse più di uno. “Ricordo un’assemblea improvvisata, la stanchezza. Dormii di sasso, poi al mattino mi svegliai presto coi morsi della fame. Un membro dello staff mi chiese se avevo avuto problemi. C’era stata una perquisizione e non me ne ero accorto. Distribuivano Il Manifesto, c’era la notizia della morte di Carlo“.

Il 21 luglio fu la giornata del corteo dei 300mila, il giorno in cui era davvero importante esserci. Perciò quando Veltroni disse che i DS non avrebbero più manifestato per molti fu uno strappo definitivo”. Bianchini rientrò a casa in serata trovando posto su un pullman dell’ARCI. Vent’anni dopo quell’associazione è la sua casa, e dopo anni di silenzio ha scoperto che tra i colleghi in diversi erano a Genova come lui.

“Solo che parlare di quei giorni non è mai stato semplice, quei valori condivisi sono rimasti, ma non ho più ritrovato quella forza collettiva”.

Il G8 si concluderà con i fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto: “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale” secondo Amnesty International, una “macelleria messicana” secondo il vicequestore aggiunto Fournier. Per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fu “tortura”. Più che una ferita, il G8 di Genova è ancora un trauma storico da elaborare.

Un anno dopo, nel novembre 2002, l’ARCI ebbe un ruolo nell’organizzazione del Social Forum Europeo di Firenze. Dopo i fatti di Genova, la paura era molta. Firenze spaventata, Oriana Fallaci invita i fiorentini a chiudere i negozi e non mandare i bambini a scuola. “Fu invece un grande momento di partecipazione, pacifico, la dimostrazione che davvero un altro mondo era possibile“. Dopo lo scampato pericolo, le assemblee in Fortezza e la grande manifestazione, quel fenomeno politico è scomparso dai radar. Le priorità globali divennero altre. Il mondo dopo l’11 settembre 2001 era cambiato, diversa la concezione della sicurezza, del rapporto tra cittadini e istituzioni. Sarebbero servite le crisi del 2007, le encicliche di Bergoglio, i Fridays For Future e la pandemia a riportare d’attualità quei temi. I Social Forum dopo vent’anni somigliano a un’avanguardia incompresa, specie oggi che le utopie di inizio millennio – ambiente, nuova economia, diritti – entrano nei programmi dei governi. “Resta però forte il senso di sconfitta”, riconosce Bianchini. “Quei temi sono tornati centrali, ma non credo che sia una vittoria tardiva del movimento. Anche perché gli obiettivi sono ancora da raggiungere. E quella partecipazione non è più tornata“.