di Virginia Landi e Michele Baldini

Unboxing /ʌnˈbɒk.sɪŋ/ dall’inglese Unboxing: (disimballaggio, inscatolamento di prodotti)

TRISHH, TRISHH, STUMP, SDENG”. L’onomatopea, appositamente creata per questa descrizione, dovrebbe, senza troppo sforzo, evocare in ognuno di noi un’immagine quasi natalizia, fatta di scatole, scatoloni e fogli di carta di varie consistenze. L’Unboxing è difatti quell’attività di spacchettamento di un prodotto dalla propria scatola, il cui processo, affinato durante i mesi di lockdown, viene spesso filmato e postato su Internet. Recentemente il suono emesso da questa azione ha acquisito per qualcuno il significato di business, creando un vero e proprio esercito di influencer del disimballaggio artistico online, mentre per altri è divenuto sinonimo di gioia incontenibile, successiva all’arrivo della posta del corriere. Il problema si genera quando l’aspettativa viene tradita e, al posto del pacco aspettato, suonano al campanello per “consegna posta” ma ad arrivare è solo una maledetta busta verde.

Campagna /kam-pa:-ɲa/ sostantivo femminile

La vita di c. è tradizionalmente opposta alla vita di città, anche se – a seconda dei tempi – gli aggettivi dell’una o dell’altra si sono intercambiati. E se la c. si lega alla terra e la città all’innovazione, la società fluida propone smart working in casolari e orti urbani agli svincoli autostradali. E poi c’è quell’accezione riferita a un evento bellico o strategico: “campagna di Russia”, “campagna promozionale”, “CAMPAGNA VACCINALE”. Fatto sta che – vuoi per la voglia di evadere o per la costrizione a restare, la parola non perde la sua forza e il suo utilizzo.