Lawrence Ferlinghetti è scomparso lo scorso 22 febbraio, a 101 anni. Poeta, editore e libraio, il più longevo tra gli artisti che negli anni ’50, nell’America del dopoguerra, dette vita al sogno rivoluzionario della “Beat Generation”. Il movimento artistico di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Gregory Corso non sarebbe esistito, probabilmente, senza di lui. La scena letteraria che da San Francisco e dalle strade d’America segnò una rivoluzione culturale all’insegna dell’anticonformismo, della sperimentazione psichedelica, del pacifismo e della liberazione spirituale infatti vide in Ferlinghetti non solo una delle voci più credibili, ma anche un fondamentale megafono: figlio di un italiano, a 33 anni Ferlinghetti fondò a San Francisco la libreria e casa editrice City Lights, ancora oggi meta di pellegrinaggio laico nella città californiana.
La City Lights è stata un vero tempio della controcultura letteraria: lì facevano tappa gli scrittori del gruppo, lì continua a riversarsi gente da tutto il mondo, affascinata da quel messaggio di pace e ribellione. Forse è eccessivo parlare di “generazione” per definire un gruppo sparuto di autori visionari, ma l’eco che quei ragazzi americani avrebbero fatto risuonare nella società pare giustificare la definizione. A fare il paio con il celebre On the road di Kerouac tra le pietre miliari della letteratura del Novecento c’è sicuramente Howl, il capolavoro di Ginsberg: un lungo poema che nel ‘56 costò ad autore e editore (proprio Ferlinghetti) un arresto per oscenità, e un processo in cui per la prima volta fu fatto appello al “1st amendment” tanto caro alla democrazia americana. Forse più celebre per il suo ruolo di editore (e protettore, e guida) che non per la sua attività poetica, Ferlinghetti per sette decenni ha continuato a tenere in vita il mito di una scena letteraria originale e irripetibile.
Autore di una trentina di libri e raccolte, il testo più celebre di Ferlinghetti è probabilmente A Coney Island of the mind. L’ultimo è Little Boy, pubblicato in Italia dalla fiorentina Clichy. Ma non è questo l’unico legame del poeta con Firenze. Il mito della casa editrice e libreria californiana trovò infatti, per un breve periodo, una nuova vita in Oltrarno. A inizio anni ’90 Antonio Bertoli, all’epoca direttore del Teatro Studio di Scandicci, ospitò Ferlinghetti per un reading in città. Da quel contatto nacque la collaborazione che portò all’apertura, in San Niccolò, della prima succursale al mondo della libreria-casa editrice americana.
City Lights Italia fu fondata a Firenze nel 1997 da Bertoli e Marco Cassini (all’epoca paterdi Minimum Fax): un luogo che ha visto passare migliaia di persone e che ha ospitato personaggi come Patti Smith, Laurie Anderson, Jack Hirschman, John Giorno, Fernanda Pivano, Gregory Corso, Antonio Tabucchi. L’esperienza si chiuse nel giro di sette anni, con una parabola breve e gloriosa, pienamente in spirito Beat.
Cessata l’attività della libreria, il marchio City Lights Italia fu acquistato da Giunti, che lo inserì nel proprio catalogo. Oggi della vitalità originaria di quel progetto resta giusto un vago ricordo, e il saluto commosso alla lunga esistenza di Ferlinghetti è un’occasione buona per far memoria di visioni e speranze mai esaurite. Come scrisse il poeta, da giovane,quasi 70 anni fa: «[…] e aspetto in perpetuo una rinascita dello stupore». (Il verso finale è tratto dall’edizione italiana di A Coney Island of the Mind, traduzione diDamiano Abeni e Moira Egan, Minimu Fax)