di Beatrice Tomasi
“Grande Karma” di Alessandro Raveggi (Bompiani, 2020) è un libro che ti lascia senza fiato: uno di quelli che, sulla scia di Salinger, vorresti poter chiamare l’autore al telefono quando ti gira.
Così ho chiamato lo scrittore fiorentino per conversare sulla vita di Carlo Coccioli. Autore misconosciuto del Novecento italiano, poliedrico, eclettico, in continua fuga e dalla produzione vastissima, che richiede un avvicinamento cauto, con i libri giusti, seguendone la storia personale.
È quello che ha fatto Raveggi: “è iniziato tutto a Città del Messico, in una libreria dell’usato, dove il libraio, riconoscendo la mia nazionalità, mi ha chiesto se conoscessi CC. E da lì è iniziato il viaggio”. La ricostruzione veritiera del personaggio CC è affidata a Enrico, il protagonista fittizio del romanzo, che insegue le molteplici vite di CC: i primi anni africani, l’esperienza parigina, Città del Messico, e poi Firenze: “una vita simultanea a se stessa”.
Il modello è quello delle biografie raccontate attraverso la vita di qualcuno, sull’esempio di Villoro, Bolaño, Barrie. “Avevo l’esigenza di far capire il meccanismo che ti provoca leggere i libri di CC”, continua Raveggi, “e dell’aurea metafisica di cui sono permeati – ciò che, forse, ha contribuito alla sua esclusione dal canone italiano”.
Di “Grande Karma” colpiscono due aspetti in particolare, che sono poi due pilastri fondamentali per Raveggi: il multilinguismo e l’ibridazione tipica del romanzo contemporaneo. “Ubiquità linguistica unita al continuo cambio di genere del romanzo di oggi, qualcosa che sfugge a se stesso e si fa diario, romanzo epistolare, romanzo puro, documento, mappa”. Senza perdere il gusto del raccontare: una grande fuga, con finale aperto.
E com’è la Firenze di CC, chiedo a Raveggi? “È una città di cui era innamorato e insieme detestava, da cui si sentiva rigettato, e che diventò simbolo del rifiuto italiano nei suoi confronti. Una provincia che rifiutava se stessa dal punto di vista culturale – il cui il vuoto letterario si è sentito fino a pochi decenni fa. Ne esce però anche un’immagine molto bella, come la Firenze omosessuale, tabù incredibile tra gli intellettuali dell’epoca”. La Firenze di oggi, però, “forse la giudicherebbe appassita, in piena crisi di inventiva. Si chiederebbe perché i giovani fiorentini lascino i vicoli e le strade di Pratolini ai giovani americani”.
Una lettura perfetta per chiunque non si accontenti e sia in cerca di qualcosa, qualunque cosa.