Si è appena conclusa quella che sarà ricordata come l’estate dei pop corn.
Lobby del mais soffiato hanno finanziato interminabili attese trascorse a guardare col fiato sospeso incendi che invocavi si spegnessero e governi che pregavi cadessero. In Amazzonia speravi di andarci ma a Notre-Dame ti ci hanno portato in gita e hai pure acceso un lumino (ops!) per non farti rimandare a latino, quanti ricordi. E ora che sai di salvare il mondo a suon di pollicioni blu e che protagonista non sei mai, nemmeno ormai CEO del potere d’acquisto della tua credenza, amico da casa, il pop corn diventa subito la star indiscussa del tuo divano (ad avercelo un divano, sento già).
Così, nella tua cameretta, mentre il tuo coinquilino di là intavola cene a cui non ti ha invitato, raggiunto il fondo della zuppiera, ti troverai faccia a faccia con le decine di chicchi di mais inesplosi.
Con la stessa spassionata empatia che l’essere umano sviluppa solo quando condivide un’accidentale prigionia, elaborerai teorie universali sulla vita e sul suo doloroso decorso.
Quel seme di mais che, per un’infausta sorte dettata dalle leggi del mercato, era stato già sottratto al meraviglioso destino della germinazione, pur avendo goduto delle stesse condizioni di partenza di quei pop corn che hai appena trangugiato, della stessa temperatura e dello stesso tempo, non ha nemmeno trovato il suo spazio per esplodere a nuova vita ed rimasto lì, a crogiolarsi irretito in una coltre di caramello. E così, mentre di là sono già agli amari e Despacito, ti sentirai incomprensibilmente compreso e un po’ meno solo.
testo e illustrazioni di Marta Staulo