Il ciclista che si rispetti tende a interpretare i semafori rossi più come dei generici ammonimenti che come diktat. Non è infrequente che, tra le furenti occhiate e le saltuarie strombazzate di autisti, eluda la sorveglianza degli imperturbabili signori del traffico per non perdere la pedalata, e sgusci via con nonchalance. Poche cose riescono a fermare il suo istinto di fuga: transenne inamovibili, un vigile che non sia di spalle e gli spettacoli dei giocolieri.
Le loro esibizioni hanno la proprietà magica di accorciare e insieme dilatare l’attesa prima del ritorno del verde: la accorciano perché il tempo passa piacevolmente, ma lasciano la voglia di restare a guardare.
Ma che storia c’è dietro a quei sessanta – ottanta secondi di spettacolo? L’ho chiesto a Hary Marcheselli, Leonardo Cappellini e Leonardo Resi, membri attivi dell’associazione culturale Vola tutto.
L.C.: “Ci ha incuriosito il fatto che tu ci abbia chiesto proprio dell’attività al semaforo. Sicuramente è quella che colpisce più facilmente l’osservatore, ma in realtà la giocoleria si esprime soprattutto in spettacoli di piazza, fiere e cabaret”.
H:“È una forma d’arte libera dove è la strada che ti dà un feedback. Perciò è anche difficile da regolamentare: dovresti segnalare prima cosa andrai a fare, ma in realtà non puoi che deciderlo sul momento, in base alla risposta delle persone”.
E qual è la risposta delle persone?
H: “Al semaforo c’è un po’ di indifferenza, a volte. Soprattutto se il semaforo è ‘nuovo’, però, ci sono tante reazioni di sorpresa. I bambini sgranano gli occhi e sono contenti, e anche gli adulti. Con alcuni ormai ci riconosciamo e, anche se la giornata è magra, ti fanno un sorriso, che è la gratifica che mi porto a casa”.
C.: “L’obiettivo della giocoleria è far provare un’emozione forte al pubblico, dare una scossa alla giornata piatta che ora abbiamo tutti. Qualsiasi emozione essa sia”.
H: “Ci muove la voglia di fare uscire l’osservatore fuori da se stesso: il pubblico sente se riesci a esprimere quello che sei. Come a teatro, serve imparare a guardare e a farsi guardare dal pubblico”.
Di che si occupa l’associazione Vola tutto?
H: “Lo scopo è quello di aprire uno spazio all’allenamento libero: ogni mercoledì sera dalle 21:30 ci ritroviamo nella palestra della Scuola Mazzanti, in via Salvi Cristiani, o in piazza Savonarola nei mesi estivi, per una condivisione libera del sapere di ciascuno. Spesso si fermano da noi anche artisti che provengono da altre città: non è un corso ma un progetto dalle porte aperte. Le attività sono totalmente gratuite, perché ci autofinanziamo proprio con i proventi degli spettacoli di strada”.
Come si arriva a fare i giocolieri?
Tutti e tre: “A caso!”
L.C.:“Cercavo un’attività dove non ci fosse competizione. Ho trovato Vola tutto, persone accoglienti e un ambiente disteso. E sono rimasto”.
H:“Io ho iniziato a giocare con tre palline, finché un passante per strada mi ha detto che esisteva una palestra di giocolieri”.
L.R.: “Non è nemmeno necessario essere particolarmente portati. Col tempo e con l’esercizio, tutti riescono”.
Esiste una giornata tipo del giocoliere?
H: “Direi di no: ciascuno ha la sua. Sicuramente l’allenamento è irrinunciabile, ma l’unica costante riguarda il fatto che d’estate si parte. Sali sul furgone e ti fai tutti i lungomari del litorale, tutte le sere una piazza diversa”.
Quali sono i falsi miti attorno alla giocoleria?
L.C.: “Il principale riguarda il fatto che la giocoleria non sia un vero lavoro. E invece lo è, per noi: frequentiamo raduni, convention dove tante altre persone vivono di spettacoli anche non di strada. In altre nazioni è un lavoro riconosciuto e persino finanziato”.
H: “Sento un sacco di persone che mi mettono in allarme dicendo: ‘anche io alla tua età avrei voluto fare – che so – il ballerino…’. Mi chiedo: perché non lo hai fatto? Quello che certo è che noi non avremo rimpianti per non averci provato”.
In conclusione:“È un lavoro come un altro. Forse il più bello del mondo; ma, in definitiva, un lavoro”.