di Tommaso Chimenti
Lo abbiamo visto manager scafato nella Milano da bere in “1992” e “1993”, lo abbiamo ammirato nei panni di un nobile veneziano nel kolossal statunitense “I Medici”, lo abbiamo applaudito nelle vesti cardinalizie in “The Young Pope” del Premio Oscar Paolo Sorrentino, lo abbiamo apprezzato nel ruolo di Berengario nella serie “Il nome della rosa”.
Ma Maurizio Lombardi, eclettico, istrionico, esplosivo interprete, non è solo un grande caratterista e attore: si spende anche nella drammaturgia e alla regia. Un talento con molte frecce al proprio arco che parte da Firenze, dal teatro di Ugo Chiti e dell’Arca Azzurra.
Adesso si divide tra cinema e tv di qualità ma il teatro rimane sempre il primo amore, da lì tutto è nato. E sono stati proprio gli incontri con Maestri come Gabriele Lavia e Luca Zingaretti che lo hanno messo in mostra al grande pubblico. Noi lo conoscevamo già da “Quattro bombe in tasca” o “I ragazzi di via della Scala”, capolavori chitiani, dove appena appariva sul palcoscenico riempiva la scena e gli occhi della platea, nel suo incisivo e carnale “Pugni di zolfo”, nella sarabanda frizzante e accesa che fu “Biancaneve” pop e rivisitata, tradita e ad alto tasso di sano divertimento.
Se lo vedi una volta a teatro, Maurizio Lombardi si fa ricordare.
Adesso ritorna a Firenze (che ama e dalla quale è ricambiato) con un lavoro, da lui scritto, diretto e interpretato, al quale tiene moltissimo, “L’uomo rondine” (il 9 aprile al Teatro Puccini). Una storia a due facce, due bambini che giocano insieme e trent’anni dopo si ritrovano sulle opposte fazioni, nemici nella guerra civile tra le strade della Firenze del ’45, uno partigiano, l’altro cecchino. Il titolo ci ha ricordato la fantasia e l’immaginazione di “Birdman”, il tema ci ha portato al classico disneyano intramontabile “Red e Toby nemiciamici” o verso la canzone di De Gregori “Il bandito e il campione”.
Incontriamo Maurizio Lombardi in Piazza della Passera, sornione, lo sguardo disincantato ma curioso, tutti e cinque i sensi aperti verso il mondo a prendere, osservare, captare tutto quello che gli brulica intorno. La voce è calda, profonda, intensa, ci racconta, si racconta: “L’uomo rondine rappresenta per me l’immaginifico infantile, tutto ciò che si rifà al concetto di supereroe; senza scomodare Superman o Spiderman, i nostri nonni in tempo di guerra sono stati dei supereroi. Il periodo che tratto è la Seconda Guerra Mondiale e credo che in quel momento storico di supereroi ce ne siano stati parecchi. Quest’idea di unire la natura di un uomo a quella di una rondine è fondamentale per aprire la fantasia. In questo uomo rondine vive l’unione tra i due ragazzi protagonisti. L’uomo rondine incarna le due facce della medaglia”.
Due ragazzini che si sono conosciuti in una soffitta e che si ritrovano dopo trenta anni in tutt’altre vesti: “Ci sono Ettore e Domenico, quest’ultimo si trasformava in questa strana creatura mitologica mentre l’altro lo disegnava e lo ritraeva. E la fusione dell’umano con l’animalesco diventa appunto quasi un nuovo supereroe”.
Perché proprio la rondine?
“Una volta, avrò avuto sedici anni ed ero a Pontassieve, dove sono cresciuto, vidi alcuni passerotti che distrussero un nido delle rondini; caddero a terra, morendo, i rondinotti. Le due rondini adulte giravano impazzite attorno ai loro piccoli deceduti. Misi dell’acqua a terra formando una pozzanghera così che potessero rifare il nido con la terra bagnata creando quella sorta di fanghiglia per compattarlo. Rifecero il nido, nacquero nuovamente i rondinotti e riuscirono, seppur tardissimo, a partire e volare al caldo. Quel giorno pensai di aver salvato il mondo. E poi le rondini portano per eccellenza la primavera, la rinascita e con l’eleganza di un bianco e nero regalano una stagione di colori”.
Siamo in un palazzo di via Maggio e tutto il racconto è ambientato in San Frediano, dal Torrino di Santa Rosa fino a Piazza del Carmine: “Uno è figlio dello stalliere e l’altro dei padroni: il primo vedeva sempre che le rondini sparivano nel sottotetto e incuriosito va a vedere dove sono. Si arrampica e le trova. È un ragazzo solitario, si addormenta, sogna, e poi comincia a giocare; le grandi soffitte sono come isole dei pirati, piene di cassapanche, brocche, vestiti. Un pomeriggio anche l’altro bambino, Ettore, dopo aver sentito dei rumori provenire dal tetto, si arrampica e una volta arrivato lì gli si para davanti questo mostro, questo uccello gigantesco che gli mette una grande paura”. Lombardi sarà accompagnato dalle musiche originali, con chitarra acustica ed elettrica, di Giuseppe Scarpato.
È un racconto evocativo, ispirato in origine alla figura del brigante della Maremma Tiburzi. Le tematiche sono quelle vicine a Chiti, i chiaroscuri, la violenza: “Sono molto debitore a Ugo, come attore e come drammaturgo, mi ha dato un’identità, locale, toscana, una forte appartenenza con le mie radici”.
Ma Lombardi non si ferma: “Nel mio prossimo futuro riprenderò il progetto delle fiabe a teatro dopo aver portato in scena in maniera irriverente “Biancaneve”, “Cenerentola”, “La Bella e la Bestia” e “Peter Pan”, ispirandomi in questo caso ai Monty Python, sto lavorando ad un mio nuovo one man show, e in questo mi rifaccio a Gigi Proietti come a Dario Fo, sarò nella nuova serie sorrentiniana “The new Pope” come nel “Pinocchio” di Garrone e lì mi vedrete nella parte del tonno nella pancia della balena, sarò nel capitolo conclusivo “1994”, e mi cimenterò anche con un thriller, “Il nido” (e ci si collega all’“Uomo rondine”, ndr) di Roberto De Feo”.