resìstere v. intr. [dal lat. resistĕre, comp. di re- e sistĕre «fermare, fermarsi»]

Opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione e impedendone o limitandone gli effetti.

Fermarsi. Sì, fermarsi e riflettere su cosa significa festeggiare il 25 aprile. Farlo per Orso, Pillo e per tutto noi.

Io non ho avvincenti storie di parenti partigiani da raccontare.

Mio nonno è nato il 17 marzo 1930, a Grosseto. Aveva 13, 14 anni al massimo, era un Piccolo Balilla senza sapere quando lo fosse diventato, portava la mantellina nera perché gli piaceva e si è visto sfollare ad Arcidosso senza la madre che, essendo infermiera, aveva un ruolo letteralmente vitale in città. Mia nonna era di un anno più piccola, strabiliata dal fatto che finalmente la ginnastica fosse materia scolastica. Anche lei sfollata (ma a Castiglioncello Bandini), anche lei con il babbo di servizio in città (ma vigile del fuoco) e la mamma intenta a nascondere le quattro galline racimolate per sopravvivere.

Grosseto aveva – ed ha tutt’oggi – un importante aeroporto militare, per questo fu bersaglio di innumerevoli attacchi di cui il più tragico avvenuto il 26 aprile 1943, un lunedì di Pasqua, per mano degli alleati.

All’ennesimo raid aereo visto dalla collina, mio nonno prese coraggio e con un amico percorse a piedi i 60 km che lo separavano dalla madre. La mantellina serviva a proteggersi dal freddo, la strada era lunga e tortuosa ma non poteva fare altrimenti. Non per la guerra, non per la fame, non per il freddo, non per gli ideali. Per la sua mamma. La stessa mamma che appena se lo vide piombare in città sotto le bombe lo rispedì a calci nel sedere ad Arcidosso. Ma non c’era niente da fare e durante la seconda traversata sopravvisse miracolosamente ad un’imboscata partigiana dove si vide risparmiata la vita soltanto grazie a quei 15 secondi che permisero ai guerriglieri di riconoscere il suo essere bambino. Così restò a Grosseto, più o meno al sicuro, vicino alla sua mamma.

Niente medaglie al valore. Solo vite umane in tempo di guerra.

I miei nonni non erano eroi. Erano bambini che guardavano con il cuore in mano la loro città perdersi giorno dopo giorno. Non sapevano da che parte stare ma sentivano che non era giusto. I tedeschi erano cattivi, gli alleati facevano paura. Volevano solo tornare a correre e a giocare per strada, volevano smettere di avere paura.

Ecco cosa significa festeggiare il 25 aprile.

Significa ricordare, perché solo con la memoria è possibile riconoscere ed evitare gli errori e le paure del passato.

Significa libertà, quella libertà che diamo ormai per scontata e quasi ci annoia e forse è quasi troppa, lasciandoci cercare la nostra personale interpretazione tra miliardi di possibilità.

Significa partecipazione, significa coraggio. Significa che quando c’è la totale consapevolezza di essere dalla parte giusta della storia, c’è anche la voglia di crederci insieme.

Significa che più dite di non festeggiare il 25 aprile, più lo festeggeremo.

Perché 25 aprile significa resistenza, altrimenti si sarebbe chiamata arrendevolezza, no?

COSA FARE IN CITTÀ

Simone Cristicchi al Teatro Verdi (SOLD OUT)

Il percorso dei partigiani dalla Casa del Popolo di San Bartolo a Cintoia alle chiese di Mantignano e Ugnano – ore 15.30

Corteo e concerto per la Liberazione Corteo per ricordare la Liberazione dal nazi-fascismo, con partenza alle ore 10.30 da piazza Santa Croce e arrivo in piazza della Signoria. Davanti Palazzo Vecchio, alle 17.30, si svolgerà poi il concerto della Filarmonica Rossini con musiche che vanno da Glenn Miller a Ennio Morricone fino Freddie Mercury. Pranzo partigiano sotto Torre San Niccolò, organizzato dall’Anpi. Nel pomeriggio musica e cibo in piazza Santo Spirito e alle 17.00 la partenza del corteo antifascista; alle 19.30 cena, canti popolari e concerto ska, punk e reggae.